La Puglia con i treni ha un conto in sospeso, ma deve provare a prendere quello che porta alla Capitale italiana della Cultura il prossimo anno. Deve provare, deve crederci. A imporre la sfida non questioni di marketing territoriale e di prestigio politico, ma meriti maturati e occasioni storiche irripetibili. Anzi, marketing territoriale e politica rischiano di pesare negativamente. Partendo dal sovraccarico di candidature: diciotto centri in lizza sono troppi. La Capitale della Cultura è, in realtà, una stazione da costruire perché quel treno arrivi in Puglia ma lo sforzo deve essere comune. Serve una candidatura unica. Il riconoscimento a Lecce, peraltro condiviso insieme ad altre città, appare sempre più lontano nel tempo. Era il 2015, anno di nascita del titolo conferito dal ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo. Bisogna provarci ancora.
Esaminando i meriti, tutti i diciotto centri pugliesi candidati al titolo di Capitale della Cultura italiana per il 2021 - la Grecìa salentina unisce 12 Comuni - meritano il riconoscimento. Si può mettere in discussione la suggestione del Romanico a Trani? Il fascino del Barocco salentino? I capolavori di arte magnogreca del museo di Taranto? Abbiamo fatto solo tre esempi, potremmo continuare all’infinito.
Dicevamo che la politica fa virtuoso esercizio di marketing, giocando con l’altezza dei vari «campanili». Ma è questo un gioco sensato? A nostro giudizio, mai come in un simile frangente la questione dei numeri è essenziale. Mai come oggi il triste slogan «il numero è potenza», tornato così di moda per sottolineare la forza demografica alla base dell’impetuosa crescita economica di paesi come Cina e India, non serve alla Puglia che vuol tentare di prendere il treno della cultura e non fermarsi più.
I numeri dei centri pugliesi candidati alla cultura vanno anzi rivisti, ridotti. Urge una candidatura unica se si vuol competere con città come Genova o l’Aquila.
L’occasione storica offerta dal riconoscimento della Capitale italiana della Cultura per il 2021 si fonda, per la Puglia, su tante ragioni. Proviamo a metterne in fila solo tre: legalità, bellezza, legami tra territori. Necessario scremare, razionalizzare. Esercitandoci in questo senso troviamo che Bari, insieme alla sua area metropolitana, possa rappresentare un modello di sintesi per tutta la Puglia (parlando di meriti maturati). Il sindaco Antonio Decaro ha voluto con forza, nel dossier in via di preparazione per concorrere al riconoscimento, che la lotta contro l’illegalità sia addirittura un punto di riferimento fondamentale dell’azione culturale. Questo dato, oltre ad essere una priorità, rappresenta davvero un passepartout e potrebbe consentire di aprire porte finora rimaste chiuse nell’ambito del confronto culturale tra la Puglia e il resto del Paese. Cultura e legalità, binomio possibile? Indispensabile se la cultura è diffusa nella periferie, se la cultura è portatrice di bellezza e anche volano economico attraverso il turismo. Bari ha maturato un modello in questi ultimi anni al quale guardare con estremo interesse. Pensare di opporre logiche di «campanile» non significa solo andare incontro a una nuova sconfitta, ma vuol dire concorrere a fare un passo indietro che la regione tutta non può permettersi: la criminalità si vince con la cultura. Prevenzione, repressione sono elementi sì fondamentali ma che non possono permettere quella inversione di tendenza auspicata nella società italiana oggi di fronte a una sfida vitale, decisiva, contro tutte le mafie.
E proprio il binomio legalità-bellezza porta all’ultima riflessione. Bari, il mondo culturale e quello politico, ha più volte manifestato interesse a una candidatura che coinvolga anche Taranto. Siamo ai ponti, terzo elemento sul quale ci soffermiamo. Taranto è la città pugliese dei ponti. Ce ne sono tre. Può, quindi, diventare emblema di quella connessione territoriale che una regione deve mostrare come carta principale da giocare nella sfida in corso.
L’idea di accomunare Taranto a Bari nella sfida è un’idea che passa, per esempio, dall’Università condivisa, dai progetti che stanno mettendo a punto le due Confindustrie, persino dalla battaglia che va vinta affermando il primato della salute e dell’ambiente senza abdicare al lavoro.
Sono temi fondamentali, vitali, non solo per Bari e Taranto ma per l’intera regione. Sono temi culturali nel senso più alto del termine. Perché oggi la cultura o è legalità, bellezza, legami o si riduce al ruolo di piccolo cabotaggio del consumo di beni culturali. Alla lunga quel consumo produrrà soltanto qualche piccolo ritocco al prodotto interno lordo, ma non farà della Puglia quel luogo di cultura che incantò Federico II piuttosto che i grandi viaggiatori del ‘700.