La politica è mediazione continua. Nei governi di coalizione, specie se composti da partiti non omogenei dal punto di vista delle culture politiche di riferimento, le posizioni di ciascuno devono ricomporsi all’interno di un quadro che di certo non può prescindere dall’esigenza di assicurare pragmatismo e buon senso se si vuole garantire stabilità e continuità. Sul Fondo Salva-Stati la maggioranza, dopo il vertice di ieri sera e a poche ore dall’intervento del premier Conte alle Camere, prova a trovare la quadratura del cerchio. Prova, ma non è detto che ci riesca. Il punto di partenza della trattativa ruota intorno alla necessità di mettere insieme le ragioni di chi, come Luigi Di Maio (leader del partito di maggioranza relativa in Parlamento) vuole evitare una firma al buio.
Invocando un supplemento di riflessione in attesa che si completino i negoziati con l’Europa su tutti gli altri pacchetti e chi, come il Pd, punta invece ad evitare la crisi di governo, a respingere quelli che considera ultimatum, mantenendo fede alla propria identità di partito fortemente europeista.
Nel suo intervento in Parlamento il Presidente del Consiglio risponderà agli attacchi di Salvini che ne chiede le dimissioni poiché, questa è l’accusa, il premier avrebbe firmato durante il precedente esecutivo qualcosa che invece non avrebbe dovuto firmare. Conte proverà a mettere i tasselli a loro posto, almeno queste sono le sue intenzioni, e fornirà la sua versione dei fatti. Le divergenze sono e restano tante, a partire dal Meccanismo europeo di stabilità. Di Maio ha costruito la propria leadership muovendosi nell’alveo dell’ideologia del cambiamento e, pur riconoscendo la gravità della situazione del debito pubblico italiano, farà di tutto perché non si generi nell’opinione pubblica anche solo il sospetto di un Paese indebolito nella propria sovranità economica e finanziaria e perciò incapace di farsi rispettare in Europa. Egli sta ribadendo ai propri interlocutori politici ed alleati di governo che esiste certamente un tema di credibilità dell’Italia di fronte ai partner europei se si rinnega del tutto il trattato, come messo in evidenza dai Ministri Franceschini e Guerini, ma non nel provare a modificare questo accordo in alcune sue parti sostanziali. I Cinque Stelle oltretutto non possono eludere la questione della credibilità del Movimento di fronte ai propri elettori che gli hanno conferito un mandato pieno a modificare proprio il rapporto tra Italia ed Europa. Il quasi 33% dei voti conquistati dal M5S alle politiche del 2018 si spiega, oltre che per la presa sull’elettorato meridionale della riforma del reddito di cittadinanza, proprio per la capacità che ha avuto Di Maio di rassicurare che nulla sarebbe stato più come prima. Sulla necessità di essere “diversamente europeisti”, oltretutto, è stato costruito il successo di Salvini e della Meloni. Anche questo è un dato politico non trascurabile.
Alla luce di questa consapevolezza di fondo, appare comunque ragionevole la posizione di chi lavora allo slittamento o al miglioramento del negoziato tra Roma e Bruxelles nonostante il poco tempo a disposizione, anche perché il Mes è oggettivamente modificabile, sempre che si riesca ad ottenere qualche settimana in più. Per uscire dall’impasse all’interno della maggioranza, nelle ultime ore, è maturato il convincimento dell’opportunità di ricorrere alla “logica del pacchetto”, ovvero al via libera al Fondo Salva-Stati in cambio però di garanzie date dall’Europa all’Italia su una questione non secondaria per il nostro Paese come quella del completamento dell’unione bancaria. Bloccare, insomma, la proposta del Ministro delle Finanze tedesco Scholz, che ha come obiettivo principale della propria strategia politica la misurazione del rischio nell’acquisto da parte delle banche dei titoli di Stato in base al rating del debito degli Stati membri dell’Unione secondo un’impostazione che darebbe un vantaggio enorme alla Germania e penalizzerebbe l’Italia. In cambio dare il via libera al Mes. Non è un caso che sabato scorso Di Maio (ma su questo anche il Pd e il Ministero dell’Economia e Finanze avevano manifestato un orientamento analogo) abbia dichiarato che così come è formulata l’unione bancaria è anche più preoccupante del Mes, che invece dalle parti del Pd viene considerato come uno strumento utile all’Italia e all’Europa. Senza garanzie su questo punto (riuscirà ad averle il Ministro Gualteri dopodomani durante la riunione dell’Eurogruppo?) è difficile trovare una soluzione, anche perché a favore del miglioramento del Meccanismo europeo di stabilità c’è anche Leu, dunque un altro componente della coalizione, sia pur numericamente assai più debole. Quella che si giocherà oggi sarà una partita tutta mediatica, con i partiti di maggioranza ed opposizione impegnati a rimarcare le proprie differenze gli uni dagli altri. Molto probabilmente assisteremo ad un corpo a corpo tra Conte e Salvini che ci riporterà indietro nella memoria ad agosto scorso, quando si aprì formalmente la crisi del governo gialloverde.
Al netto della vicenda del Meccanismo europeo di stabilità, l’Esecutivo è chiamato fare sintesi su molti dossier: decreto fiscale, autonomia differenziata, Arcelor Mittal, Alitalia, revoca delle concessioni alla società Autostrade, prescrizione. Si riuscirà a fare chiarezza su tutti questi nodi ancora irrisolti? La risposta a questa domanda non può essere ricercata solo attraverso il monitoraggio delle prese di posizione quotidiane degli esponenti della maggioranza e con l’analisi delle soluzioni tecniche proposte. Ci sono ragioni politiche che pesano. Il sistema italiano è tripolare. Se si prescinde da questo dato oggettivo, nulla sarà veramente comprensibile.