A Notting Hill, in quel di Londra, il Carnevale più che una festa è una barricata. I rigattieri di Portobello, ad esempio, non solo chiudono i negozi ma li sprangano addirittura con le assi di legno. Bar chiusi, saracinesche abbassate e alcuni residenti che scappano fuori città. Perché si sa come sono gli inglesi: dopo il primo giro di birre la spirale dell’allegria tracima ben presto in un abisso di ubriachezza e la festa diventa un gigantesco casino.
Il che implica interrogativi epocali sulla natura umana: perché un’occasione di divertimento e socialità si trasforma piuttosto nella miccia incendiaria del disordine e della violenza? Torniamo in Italia. Anzi, andiamo a Bari. Il Capodanno? Il bombardamento di Beirut. L'happyhour della vigilia di Natale? Una maxirissa annunciata. Il Bari che gioca al San Nicola? Uno spiegamento di forze di polizia come al confine tra Israele e la Palestina. Tutto, potenzialmente, è un allarme sicurezza, anche le cose più innocue.
Parliamo di Halloween, la festa imperscrutabile che nella sua trasposizione un po' pacchiana del rito dei defunti, nella sua confusione tra solennità e cazzeggio, ha spalancato, ben oltre la goliardia, la porta dell’esagerazione e dell'abuso. Tanto da provocare la psicosi di commercianti, operatori economici e residenti che hanno chiesto al sindaco misure eccezionali di sicurezza proprio per reprimere le potenziali degenerazioni delle bande di ragazzini mascherati. Ad Antonio Decaro tuttavia quest’ansia da attacco terroristico è apparsa vagamente esagerata e, in una lettera social poi rimbalzata su tutti i media, ha spiegato che blindare la città per un manipolo di minorenni, per quanto inclini al teppismo, sarebbe una sconfitta sociale pesantissima. Di più. Il sindaco di Bari ha spostato il baricentro dell’attenzione sulle responsabilità: qualcuno dovrebbe evitare che un ragazzino consumi violenza gratuita prima di ipotizzarne il controllo militare.
Quindi ci sono due cose, in tutto questo psicodramma di Halloween, che val la pena annotare. La prima è la capacità diabolica di scovare pretesti per lasciare liberi i sentimenti peggiori, l’adulterazione delle esperienze più miti, quale potrebbe essere un rito collettivo di strada come la stupidissima festa di Halloween o (ricordate Torino?) la visione di una partita di calcio su un maxischermo in una calda sera di primavera che in un attimo si trasforma in un fuggifuggi di sangue.
La seconda, più dello sbando dell’adolescenza, è la paura degli adulti. Fobici tanto da prefigurare l’apocalisse dietro l’angolo di casa. Inadeguati come educatori e quindi disposti ad attribuire a destra e a manca le colpe di quella educazione non data. Smarriti come mai lo erano state le generazioni che, nel bene e nel male, li hanno preceduti.
Questa paura degli adulti è la prova della immaturità a gestire situazioni appena fuori dalla normale routine. È la sublimazione dello scaricare sempre sugli altri le proprie responsabilità, anche le più piccole: è il sindaco che deve intervenire sui teppistelli ai quali mamma e papà non hanno mai saputo dire un no; è la scuola che deve educarli, mica i genitori che li hanno messi al mondo e che magari sono pronti a votare chiunque proclami ordine e disciplina, purché naturalmente valgano solo per gli altri. Ecco, così Halloween o l’happyhour della vigilia di Natale diventeranno sempre più catastrofici. Altro che Notting Hill.