Sabato 06 Settembre 2025 | 19:37

Le due domande nascoste dietro le liti nel governo

 
Bruno Vespa

Reporter:

Bruno Vespa

Lega - 5 stelle una tregua fondata sugli equivoci

Luigi Di Maio (M5s), 31 anni, e Matteo Salvini (Lega), 45 anni

Non c’è stato mai, perciò, un «governo del Presidente»

Sabato 27 Luglio 2019, 18:39

Il sottotesto delle liti continue nel governo (tanto continue da non fare più notizie) sta racchiuso in due domande legate tra loro.1. Sarà questo parlamento a eleggere all’inizio del 2022 il nuovo Presidente della Repubblica? 2. Se e quando ci fossero le elezioni politiche anticipate, quale governo vi accompagnerebbe il Paese negli ultimi sessanta giorni?
Le due domande sono uno dei tanti rovelli che frullano nella testa di Matteo Salvini, se avrà ragione nel sostenere che il caso Russia non lo coinvolgerà pesantemente. Con l’aria che tira e con i riposizionamenti parlamentari degli ultimi giorni non ci sarebbe da meravigliarsi se il successore di Mattarella fosse eletto da 5 stelle e Partito democratico che nel Parlamento attuale hanno la maggioranza assoluta.

Mancano due anni e mezzo alla scadenza e può accadere di tutto, ma l’ipotesi che abbiamo avanzato è un ulteriore incoraggiamento a Salvini di non arrivare alla scadenza della legislatura.
Bene, ma che accadrà se il capo dello Stato fosse costretto a sciogliere le Camere? Dobbiamo dar credito al Partito democratico che – al di là dell’apertura di Dario Franceschini - esclude ogni giorno di voler fare in questa legislatura un ribaltone e andare al governo con i 5 Stelle. Ma a parlamento chiuso quale governo resterà in carica per l’ordinaria amministrazione?

La tradizione vuole che sia il governo uscente ad assumersi questo compito. Qualcuno sostiene che sarebbe disdicevole far restare in carica il frutto di una maggioranza frantumata. Ma quando si va a elezioni anticipate è perché si frantuma la maggioranza, altrimenti non si aprirebbe la crisi. L’unico caso in cui alle elezioni andò un governo diverso fu il sesto gabinetto Fanfani nel 1987. Avevano litigato Craxi e De Mita e la Dc mise in piedi un governo suicida, presieduto dal presidente del Senato (Fanfani, appunto) e composto – a parte qualche tecnico – da tutti democristiani a 24 carati (Esteri Andreotti, Interno Scalfaro e così via). La Dc, che voleva le elezioni, bocciò il suo governo votato invano dagli altri partiti di centrosinistra. Nato per essere bocciato, il Fanfani VI lo fu immediatamente e si andò subito alle elezioni.
Non c’è stato mai, perciò, un «governo del Presidente». Chi ventila questa ipotesi ritiene – non si sa con quanto fondamento – che al Quirinale non si veda di buon occhio la permanenza al Viminale in campagna elettorale dell’eventuale protagonista della crisi, cioè di Matteo Salvini.

Il ministro dell’Interno è il garante della correttezza del voto e qualcuno immagina che uno dei concorrenti non possa fare anche l’arbitro. Ipotesi scivolosa, che sarebbe valutata con estrema prudenza da un campione dell’equilibrio istituzionale come Sergio Mattarella.
Se mai si verificasse un’ipotesi del genere, Salvini certo non ne sarebbe contento. Ma vederlo scatenato nelle piazze senza più nemmeno il (debole) freno della veste istituzionale, alla fine forse perfino potrebbe giovargli…

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)