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Gilet gialli e pericolosi tentativi di imitazione

 
Michele Partipilo

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Michele Partipilo

Di Maio

Foto Maizzi

Anche ieri Luigi Di Maio è tornato a parlare dei rapporti con i «gilet gialli» francesi

Sabato 16 Febbraio 2019, 16:00

Anche ieri Luigi Di Maio è tornato a parlare dei rapporti con i «gilet gialli» francesi. L’obiettivo dichiarato, in vista delle elezioni europee, è di costituire una forza più consistente da opporre alla maggioranza che oggi governa l’Europa. Nulla di scandaloso, anche se i contatti avuti nei giorni scorsi da Di Maio con alcuni esponenti del movimento contestatore d’ Oltralpe hanno fatto arrabbiare l’inquilino dell’Eliseo fino alla clamorosa decisione di richiamare in patria l’ambasciatore a Roma.
Il diplomatico da ieri è di nuovo a Palazzo Farnese e Di Maio si è anche detto pronto a incontrarlo. E, per rasserenare Macron sui gilet gialli, ha precisato che «c'è stata un’interlocuzione con una realtà complessa».

«Ma noi - ha proseguito Di Maio - non abbiamo intenzione di dialogare con quell’anima che parla di lotta armata o di guerra civile». Parole sensate, ma che non dicono nulla sulle due questioni essenziali che riguardano i cosiddetti gilet gialli.
La prima è evidente ed è diventata forse uno dei crucci maggiori per Di Maio: essere allo stesso tempo vicepresidente del Consiglio e leader di partito. In altri Paesi, vedi la Gran Bretagna, la regola è proprio questa: il capo politico che vince le elezioni diventa automaticamente premier. Ma ci sono tutta una serie di norme e di consuetudini che sono estranee al sistema italiano e difficilmente importabili. Se si va a vedere la nostra storia repubblicana ci sono pochissimi esempi di doppio incarico. L’ultimo - e abbiamo visto come è andata - è stato Matteo Renzi. Ora è vero che Di Maio non è presidente del Consiglio, ma è altrettanto vero che, insieme con Matteo Salvini, è un vicepresidente sui generis con un peso non riscontrabile nel passato. Allora, Di Maio come capo politico può incontrare chiunque, ma deve tener conto del ruolo istituzionale, che limita di molto questa sua facoltà. Di qui la necessità di riflettere se continuare a indossare contemporaneamente due abiti diversi. Peraltro anche la base grillina, sull’onda del flop elettorale in Abruzzo, ha chiesto di riconsiderare l’opportunità di un doppio incarico.
Ma il tema nascosto e per ora solo ipotetico è che esaltando i gilet gialli, un movimento analogo possa ben presto vedere la luce anche in Italia. Di Maio oggi non può cogliere questo rischio perché ragiona da leader dei 5Stelle, cioè di un movimento e dunque rappresenta il cambiamento ovvero, come direbbe al suo posto Luigi XIV «gilet jaune c'est moi», il gilet giallo sono io. Ma Di Maio è anche vicepresidente del Consiglio - qui torniamo al doppio incarico - e dunque esponente di primissimo piano del governo, cioè il soggetto da mettere al centro di eventuali contestazioni.
In questi giorni assistiamo a fatti che potrebbero anticipare la nascita di un movimento contestatore. Potremmo citare, a ragione del nome, i gilet arancioni nati in Puglia. Fino a oggi non hanno colore politico, sono mossi dall’esasperazione per la drammatica situazione dell’agricoltura e dell’olivicoltura in particolare. Se continua il balletto di responsabilità fra governo regionale, governo centrale e Unione europea, la loro ira in che modo potrà essere controllata?
Sempre in questi giorni ha preso corpo un’altra protesta: quella dei pastori sardi, seguiti a ruota dai colleghi della Sicilia. È vero che non ci sono gilet di mezzo, forse anche perché i colori in produzione scarseggiano, ma è solo un dettaglio. Le tonnellate di latte rovesciate sull’asfalto, le strade bloccate, le manifestazioni davanti al Palazzo non sono segnali da sottovalutare.

Vi è poi la madre di tutti i possibili gilet gialli in salsa italiana e sono i delusi del reddito di cittadinanza. In questo caso la rivolta potrebbe essere contro Di Maio non solo come esponente del governo, ma anche come leader politico. Non c’è dubbio infatti che ci saranno molti scontenti e delusi. Sia perché la misura, prima, durante e dopo la campagna elettorale, è stata strombazzata come reddito facile per tutti sia perché ogni giorno viene presentato un emendamento che per un verso o per l’altro assottiglia la fila degli aventi diritto, Senza contare che la macchina che dovrebbe gestire il sussidio ancora non c’è. Come reagirà chi aveva creduto di avere sonanti 780 euro netti al mese e ora si ritrova con la promessa di una carta di credito, peraltro da utilizzare con molti vincoli, ma soprattutto da ottenere dopo aver superato le forche caudine della burocrazia?

Ecco, cavalcare la protesta può anche essere politicamente redditizio, ma bisogna stare attenti da quale parte della barricata ci si trova. Come la Settimana enigmistica, i gilet gialli potrebbero avere non numerosi ma pericolosi tentativi di imitazione.

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