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Matera capitale della cultura la scommessa dell’anno dopo

 
Gianluigi De Vito

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Gianluigi De Vito

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Cosa rimarrà della capitale europea della cultura? Ci s’interroga eccome, prima ancora che la festa cominci.

Venerdì 14 Dicembre 2018, 18:39

Primo gennaio 2020. Matera perderà la maiuscola? E le vite dei quattromila che hanno riabilitato urbanisticamente l’ex vergogna dei Sassi torneranno minuscole dopo che la carcassa mediatica avrà spento i diffusori e l’evento degli eventi farà posto ad altri favolosi mondi in cerca di gloria? Cosa rimarrà della capitale europea della cultura? Ci s’interroga eccome, prima ancora che la festa cominci.

Per cinque giorni - oggi l’epilogo - Matera ha riunito gli esperti dell’Icomos Italia e internazionale e ha chiamato «addetti ai lavori» a tagliare a fette l’ansia del giorno dopo: «Partecipazione, territorio, tradizioni future: la cultura della valorizzazione», il tema. Per capirci, l’Icomos (Consiglio internazionale dei monumenti e dei siti) non è un circolo di intellettuali autoreferenziali. È un’ organizzazione non governativa che dice la sua sulle candidature alla Lista del Patrimonio mondiale dell’Unesco dei beni materiali e immateriali.

I cinque giorni di seminario sembrano per ora rimasti sotto traccia, almeno a giudicare dall’impatto mediatico, nonostante il tema in agenda declinasse una posta alta della partita in gioco. Il pretesto della convocazione materana è stata la ricorrenza dei 25 anni dall’iscrizione dei Sassi. Una ricorrenza che, Pietro Laureano, l’urbanista materano che ha fabbricato l’iscrizione Unesco cambiando la narrazione dei Sassi da vergogna disabitata a ecosistema da preservare, ha potuto celebrare non solo perché presidente dell’Icomos Italia, ma anche grazie all’ossigeno economico arrivato dal Parco dell’Alta Murgia, beneficiario di consistenti risorse economiche attivate dalla misura «Murgia chiama Matera».
Che la Puglia guardi alla vicinissima capitale della Cultura come a un’occasione da non mancare per costruire opportunità di interscambio, è cosa lecita e strategica. Così pure, dall’altra parte del campo, strozzare il dialogo con il più importante e prossimo partner territoriale sarebbe un errore imperdonabile. Ma «l’anno del clamore» (il 2019), ormai alle porte, gira la clessidra e quando l’ultimo granellino di sabbia avrà raggiunto il fondo non sarà più possibile fare affidamento sugli investimenti di «altri». Fino a quel momento bisognerà rispondere in maniera definitiva alla domanda delle domande: qual è il progetto «politico» per il Patrimonio-Sassi? Ci si può fermare solo al linguaggio economicistico della redditività in base alla quale i beni culturali e naturali hanno valore solo se «fruttano»? Quali elementi chiama in ballo il futuro della valorizzazione di Matera? Ci si può accontentare della «nuova immagine» che l’iscrizione Unesco del 1993 ha creato? Che cosa succederà se il via-vai dei turisti mordi e fuggi dovesse imboccare il fisiologico declino e la città - ora trasformata nella più grande costellazione di B&B e case vacanze - dovesse cominciare a svuotarsi e con esso il «divertificio» che il marketing territoriale ha creato?

L’Icomos ci ha ragionato su cercando risposte possibili almeno su due traiettorie: il patto generazionale (i Sassi hanno futuro di conservazione se le giovani generazioni continueranno a considerarli eredità preziosa); la partecipazione larga di tutti i soggetti territoriali dello stesso «paesaggio culturale» (l’allargamento dei Sassi a una candidatura delle Gravine e del Rupestre murgiano è prospettiva solo bisbigliata).
Il timore più grande, quello di tornare nell’oblio, per essere scongiurato chiede che non s’investa solo sulla logica (predatoria) turistico ed economica di ristrutturazioni più o meno coerenti, ma su un impegno educativo e comunicativo a trasmettere i valori con i quali una comunità ha dato forma unica a una città e al rapporto uomo-natura-cultura.

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