Venerdì 12 Dicembre 2025 | 15:48

L’epidemia silenziosa che colpisce la psiche

L’epidemia silenziosa che colpisce la psiche

 
Alessandro Miani

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Alessandro Miani

È allarme clima, i politici si sveglino (e i cittadini pure)

Nel caso italiano, significa centinaia di migliaia di cittadini con la salute mentale segnata dal cambiamento climatico

Venerdì 12 Dicembre 2025, 13:12

C’è un dolore nuovo che attraversa le comunità. Un dolore che nasce dalla trasformazione del paesaggio in cui viviamo. Si chiama solastalgia ed è caratterizzata da ansia, tristezza e senso di smarrimento che derivano dall’assistere al degrado ambientale, alla scomparsa di luoghi familiari, agli incendi che divorano boschi o alle alluvioni che sommergono interi paesi. È un’epidemia silenziosa, che cresce in Italia con la stessa rapidità con cui aumentano gli eventi climatici estremi. Secondo l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, nel 2023 il nostro Paese ha registrato oltre 310 eventi meteorologici estremi, con un aumento del 55% rispetto all’anno precedente. Alluvioni in Emilia-Romagna, frane in Toscana, incendi devastanti in Sicilia e Sardegna: scenari che lasciano cicatrici emotive profonde. L’Oms stima che oltre il 25% delle persone colpite da disastri naturali sviluppi disturbi d’ansia, depressione o sintomi post-traumatici.

Nel caso italiano, significa centinaia di migliaia di cittadini con la salute mentale segnata dal cambiamento climatico. Gli studi confermano che il paesaggio è parte integrante dell’identità. La perdita di luoghi riconoscibili, come una pineta costiera o un borgo sommerso dal fango, è percepita come una perdita di sé. Ricercatori dell’Università di Padova hanno osservato che dopo l’alluvione di Venezia del 2019, oltre il 35% dei residenti mostrava sintomi di solastalgia, una nostalgia dolorosa di un ambiente che non esiste più. Allo stesso modo, indagini condotte dopo gli incendi in Calabria e Sardegna hanno rilevato che più del 40% delle persone coinvolte avvertiva sentimenti di impotenza e angoscia, spesso accompagnati da rabbia verso istituzioni percepite come assenti o inefficaci. La solastalgia colpisce in modo trasversale, ma non tutti la vivono allo stesso modo. Giovani e anziani sono tra i più vulnerabili: i primi perché sentono il futuro minacciato, i secondi perché vedono dissolversi i luoghi della memoria. Indagini quantitative segnalano che i ragazzi italiani tra i 16 e i 25 anni riportano livelli di eco-ansia tra i più alti in Europa, con il 62% che dichiara di sentirsi «molto preoccupato» per il destino del proprio territorio.

Gli effetti si vedono anche nella vita quotidiana. In alcune comunità colpite da alluvioni, i livelli di partecipazione sociale e di fiducia reciproca crollano fino al 30% nei mesi successivi, come rilevato da uno studio condotto dal CNR. La solastalgia diventa così non solo una questione individuale, ma un problema collettivo, che mina la coesione e la resilienza delle comunità. Se è vero che il degrado ambientale genera dolore, è altrettanto vero che la risposta può diventare occasione di rinascita. È in questo contesto che la psicologia ambientale si afferma come risorsa cruciale. Tra le voci più autorevoli in questo ambito, la dottoressa Rita White ha sviluppato un approccio innovativo che unisce neuroscienze, psicoterapia e progettazione ecologica per rispondere ai traumi generati dalla crisi climatica. Il suo metodo, definito «eco-riparativo», non si limita a elaborare il dolore, ma mira a ricostruire la connessione profonda tra persona e ambiente, favorendo la rigenerazione psichica attraverso la cura dei luoghi. Lavorando in Italia e all’estero con comunità colpite da disastri ambientali, la dottoressa White ha dimostrato che restaurare simbolicamente e fisicamente il paesaggio, attraverso orti comunitari, spazi verdi condivisi, percorsi sensoriali, aiuta a ricostruire anche il paesaggio interiore delle persone. La sua attività ha ispirato nuove pratiche terapeutiche e progetti urbani in diverse regioni italiane. Percorsi di sostegno psicologico dopo i disastri, programmi di educazione ambientale, gruppi di resilienza comunitaria sono strumenti già sperimentati con successo. In Emilia-Romagna, dopo l’alluvione del 2023, alcune équipe di psicologi ambientali hanno affiancato i cittadini non solo nell’elaborazione del lutto, ma anche nella progettazione partecipata degli spazi ricostruiti, riducendo i livelli di ansia riportati del 20% nel giro di sei mesi. La letteratura scientifica indica chiaramente che il contatto con la natura è parte della terapia. L’Università di Stanford ha dimostrato che camminare in ambienti verdi riduce del 30% i pensieri ripetitivi legati all’ansia. Se questo vale in generale, lo è ancora di più per chi ha vissuto un disastro climatico: rigenerare boschi, riaprire parchi urbani, riqualificare argini e corsi d’acqua non è solo un intervento ecologico, ma una cura psicologica. La solastalgia è la nuova malattia del nostro tempo, invisibile eppure diffusa.

Non compare nei referti medici, ma si manifesta nelle notti insonni, nella rabbia per i paesaggi perduti, nel senso di precarietà che molti italiani avvertono di fronte a un territorio sempre più fragile. Riconoscerla significa dare dignità a un dolore reale e investire in strumenti per affrontarlo. In un Paese dove i disastri climatici cresceranno nei prossimi decenni, affrontare la solastalgia non è un lusso, ma una necessità. Significa includere la salute mentale nelle strategie di adattamento climatico, formare professionisti capaci di sostenere le comunità, creare politiche che uniscano protezione ambientale e benessere psicologico. Perché non possiamo fermare la pioggia, né spegnere da soli gli incendi, ma possiamo costruire comunità resilienti, capaci di trasformare la nostalgia in impegno e la paura in speranza. La vera ricostruzione non riguarda soltanto muri e strade. Riguarda anche il paesaggio interiore di chi quei luoghi li chiama casa.

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