Mangiare è un atto quotidiano, ma anche politico. Il sistema alimentare globale produce circa un terzo delle emissioni climalteranti. Secondo l’IPCC, senza cambiare i nostri modelli alimentari sarà impossibile raggiungere gli obiettivi climatici dell’Accordo di Parigi. Entra qui in gioco la dieta climatica, un'alimentazione ricca di vegetali, con meno carne rossa e latticini, ispirata al modello mediterraneo. Rappresenta una leva concreta per la salute delle persone e del pianeta.
Nel 2019 la Commissione EAT-Lancet ha definito la planetary health diet, un modello che, se adottato su larga scala, potrebbe prevenire oltre 11 milioni di morti premature l’anno e restare entro i limiti ecologici. Non è un menu punitivo, ma privilegia legumi, cereali integrali, frutta, verdura, frutta secca e olio d’oliva. Quanto vale cambiare dieta? Una nota analisi pubblicata su PNAS stima che la transizione verso regimi più vegetali potrebbe ridurre la mortalità globale fino al 10 % e tagliare le emissioni alimentari fino al 70 % entro il 2050. Tradotto: meno infarti, diabete, tumori, metano e protossido di azoto. Anche la qualità dell’aria migliora. Una ricerca su Nature Communications mostra che diete più vegetali ridurrebbero drasticamente le emissioni agricole di ammoniaca e metano, con benefici sanitari e ambientali. Meno particolato fine, meno morti premature. La dieta climatica è anche uno strumento contro l’inquinamento urbano, oggi responsabile di circa 7 milioni di decessi annui. Conta non solo quanta carne si consuma, ma anche quale.
Uno studio pubblicato su Science mostra che anche le produzioni animali più sostenibili hanno un impatto maggiore di quelle vegetali. Per questo la domanda, cioè le scelte alimentari, è una chiave tanto quanto l’efficienza produttiva. L’OMS conferma che aderire alle sue linee guida salverebbe milioni di vite e ridurrebbe le emissioni. Il messaggio è chiaro: la dieta climatica coincide con una dieta sana, con benefici fisici e mentali. Migliora metabolismo, umore, memoria e qualità del sonno. In Europa si parla di incentivi intelligenti. Una proposta pubblicata su Nature Food suggerisce di riformare l’IVA, abbassandola su frutta e verdura e aumentandola su carne e latticini, con benefici per salute, ambiente e finanze pubbliche, senza penalizzare le famiglie se accompagnata da misure compensative. Alcuni Paesi testano etichette ambientali per orientare i consumatori.
L’Italia parte avvantaggiata: la vera Dieta Mediterranea è già, in fondo, una dieta climatica. Studi condotti in Grecia, Spagna e Italia mostrano riduzioni della mortalità cardiovascolare e delle emissioni fino al 30%. Diverse città stanno agendo. Milano promuove mense scolastiche vegetali e lotta agli sprechi, Firenze sperimenta menù ospedalieri più sostenibili, Bologna ha linee guida per ridurre la carne nelle mense universitarie, Torino punta su educazione e stagionalità. All’estero, Amsterdam e Barcellona dimostrano che la politica alimentare urbana può diventare leva climatica. In Scandinavia si testano mense pubbliche interamente vegetali con risultati immediati su emissioni e salute pubblica. A rafforzare questo percorso arriva oggi una novità importante: la certificazione Food for Planet, recentemente attivata, che permette di identificare, in modo chiaro, trasparente e autorevole, ristoranti, piatti e filiere con una minore impronta ecologica. Il disciplinare, realizzato da ASACERT, è rigoroso ma di facile implementazione, pensato per coinvolgere attivamente il mondo della ristorazione e, soprattutto, per offrire ai consumatori uno strumento di scelta consapevole. Perché ogni pasto è un’occasione per fare la differenza. Sapere che una pietanza ha un impatto ambientale inferiore rende l’atto del mangiare non solo più sano, ma anche più etico.
Con Food for Planet, la sostenibilità diventa visibile, misurabile, concreta. Infine, la giustizia sociale. Oggi frutta secca, legumi e ortofrutta costano troppo per molte famiglie. Serve riformare sussidi agricoli e IVA per rendere la dieta climatica accessibile, non un lusso. Senza interventi strutturali, resterà privilegio di pochi, mentre a beneficiarne sarebbero le fasce più vulnerabili. La dieta climatica non è una moda, ma una politica di salute pubblica servita in tavola tre volte al giorno. Meno carne rossa, più vegetali integrali, filiere locali, meno sprechi. Uno strumento che unisce scienza, tradizione e futuro. E oggi anche una certificazione che ci aiuta a scegliere meglio. Perché se abbiamo un mezzo per tagliare emissioni, ricoveri e costi sanitari, senza rinunciare al gusto, conviene usarlo. A partire dal prossimo pasto.















