Uno spazio nuovo e indefinito, nato da quella sensazione che si prova quando ti senti ovunque e in nessun posto allo stesso tempo. È ciò che ha dato vita a Maison Boy, nuovo EP del fasanese Vins, già noto per il tormentone virale «Non ti sei mai divertita così», che cita l'iconica scogliera di Polignano. Sette tracce uscite lo scorso 20 giugno per Island Records che raccontano una generazione che non sa ancora dove sta andando, ma sa da dove viene, e si impegna per costruire qualcosa di concreto. Insieme al collettivo Expresso Creative, da lui stesso fondato e di cui fa parte, Vins per esempio sta per inaugurare un nuovo studio a Fasano, la sua città natale: un ritorno alle origini progettuale, dove l’identità locale si trasforma in piattaforma globale.
Partiamo proprio dalle origini: quanto conta per lei l'essere cresciuto a Fasano e in che modo questa provenienza si riflette nella sua musica?
«Ho iniziato da molto piccolo, e come accade spesso quando qualcuno ha una passione forte, spesso venivo deriso, guardato, additato. Ho capito, crescendo, che dovevo farcela non solo per dimostrare qualcosa a chi non credeva in me, ma anche per essere grato alla città dove sono e dove ancora vivo. C'è il sole, c'è la spiaggia, gli amici, ho imparato a volerle bene, con il collettivo poi abbiamo dato vita a tanti progetti, musica, eventi, un brand di abbigliamento, quindi si è aperto proprio un dialogo col Comune. Tanto che ad esempio abbiamo costruito un campo da basket libero per i ragazzini che vogliono giocare, una cosa che mancava. Quando mi sono aperto con Fasano, Fasano si è aperta con me».
Ed è la stessa «casa» che dà il titolo all'EP: cosa intende lei per «casa»?
«Può essere la città in cui sei nato, ma anche tutto il mondo. Prima avevo il desiderio forte di andare via, inseguire i sogni, poi ho capito che casa può essere qualunque posto che ti rende felice, dipende dalla prospettiva da cui guardi le cose. Ho iniziato ad allontanarmi dal termine "casa" come luogo fisico, e l'ho trovata dentro di me».
E la sta anche «arredando»: per esempio con il collettivo state mettendo su uno studio...
«È un grande orgoglio, arrivo da una famiglia di macellai, abbiamo preso la macelleria in disuso di mio nonno e ora diventerà il nostro studio. Ho trasformato quella rabbia che avevo da ragazzino e mi piace che i ragazzini di oggi, a differenza mia, abbiano un posto dove sviluppare le proprie passioni. Bisogna lottare per far succedere certe cose».
Le sue sonorità sono molto internazionali e si fondono con un'identità fortemente locale: come bilancia il tutto a livello di ascolti?
«Diciamo che ascolto qualsiasi tipo di musica, ora sono in fissa con Aminé, rapper e cantante americano di origini etiopi, che in "13 Months of Sunshine" racconta proprio i tredici mesi di sole della sua terra. Mi piace tanto e l'ho incontrato a Fasano, è stato bellissimo e di grande ispirazione. I visual del suo disco li ha fatti ad Addis Abeba, mi ha dato uno slancio per ripartire da casa mia, le mie clip le abbiamo girate a Montalbano, con mia nonna che preparava il caffellatte. Oltre a lui mi piacciono Kaytranada, e ovviamente Pharrell».
Secondo lei esiste una scena pugliese che sta emergendo nel panorama italiano?
«Certo che esiste, e spacca! Anche la gente che fa un genere diverso dal mio. Da Caparezza in poi, mi piacciono tutte le nuo ve sfaccettature, la scena è potente, vediamo oggi dove sono arrivati Kid Yugi, Rrari dal Tacco, Young Hash, bisogna rimanere genuini con i propri amici, saper coltivare quello che si semina. Io facevo il gelataio al VIVA! Festival per pagarmi il mix&mastering dei pezzi. L'unione fa la forza».
Adesso il prossimo step qual è?
«Pensavo che forse dovrei un attimo godermi questo EP, ma nello stesso giorno ho già cominciato a lavorare su nuovi beat, per nuova musica. Ho una missione in testa, più grande di qualsiasi sogno o traguardo: non posso stare fermo ad aspettare, perché nessuno ti regala niente, devo lavorare giorno per giorno».