David Bowie, Madonna, Diana Ross, Daft Punk: solo un frammento dell’elenco di nomi da capogiro con cui ha lavorato Nile Rodgers, musicista e produttore tra i più influenti della storia. Non solo: con i suoi Chic (proprio quelli di «Le Freak» e «Good Times») è diventato simbolo degli anni ‘70, facendo ballare generazioni di appassionati.
Per questo l’appuntamento del 17 luglio nella Radio Norba Arena alla Fiera del Levante di Bari (esclusiva per il Sud Italia) nel cartellone del Locus Festival, proprio con Nile Rodgers & Chic sarà imperdibile non solo per gli appassionati. Groove funk-disco, collaborazioni leggendarie, un’inconfondibile chitarra (lo stile affonda le radici nel jazz) e una sensibilità musicale che ha attraversato le epoche: inserito nella Rock & Roll e nella Songwriters Hall of Fame, Nile Rodgers è anche simbolo di impegno sociale e culturale, con azioni concrete per la costruzione di un mondo più inclusivo attraverso la musica. La «Gazzetta» ha avuto l’onore di incontrare «virtualmente» l’iconico produttore, collegato dai suoi studi per una chiacchierata a 360° sulla sua visione del panorama musicale e su una carriera straordinaria.
Mr. Rodgers, parliamo di un percorso musicale con oltre 500 milioni di album venduti nel mondo, qual è il segreto per fare musica che resista allo scorrere del tempo?
«Vuole la verità? Non lo so, davvero. Da sempre faccio ciò che sento, e spero in questo modo di connettermi con chi ascolta. Il discrimine è che ciò che faccio mi deve piacere. Se prendiamo in analisi le hit, “We are family” non suona come “Upside Down”, “I’m coming out” è distante da “Le Freak” o “Good Times”. Ancora “Get Lucky” o “Like a Virgin” sono diverse, ma tutte queste canzoni hanno in comune una cosa: ti fanno star bene. È la “missione” del pop».
Da produttore, come si è evoluto il suo approccio alla musica, dagli anni della disco alle collaborazioni più recenti, come quella con Beyoncé che risale al 2022, con «Cuff it»?
«La cosa più bella è che l’approccio non è mai cambiato, così come il modo di lavorare. Accade tutto in semplicità: con Beyoncé sono bastate due chiacchiere, ai Daft Punk ho chiesto di spegnere tutti gli strumenti lasciando solo la batteria. Volevano il mio groove di chitarra, nudo, mi sono immerso in quel ritmo suonando tre parti diverse di quella stessa chitarra che loro ascoltavano da giovani, ed è venuta fuori “Get Lucky”, così come ancora la ascoltiamo».
La sua carriera ha sempre incrociato impegno e battaglie sociali. Questo attivismo ha influito in qualche modo sul suo lavoro di musicista?
«Tutto quello che faccio è riflesso di ciò che vedo. Ogni canzone che ho scritto si basa sulla realtà, al massimo uso elementi immaginari per completare le storie. “Le Freak” è una canzone dance, ma è anche espressione dello scorrere del tempo: quando componemmo quella canzone, in America celebravamo i movimenti per i diritti delle donne, degli omosessuali, il Black Power Movement, la fine della Guerra del Vietnam, e la musica era un modo per celebrare tutte queste vittorie, questi passi avanti. Soffermiamoci sul testo di “Good Times”: si parla dei dolori degli old days, mentre ora si può festeggiare, e succede tutto dopo la Grande Depressione. Se non c’è un significato profondo in ogni mia canzone, non posso scriverla».
Ogni concerto che porta la firma degli Chic si trasforma in una festa. Cosa vedremo sul palco del Locus Festival a Bari?
«Sicuramente sarà divertente, vivremo a good time! Ora stiamo aggiornando tutta la parte visual dello spettacolo, gli outfit, la scaletta che stiamo aggiornando, facendo di tutto per offrire al pubblico il nostro show più bello di sempre. Poi sento di avere una responsabilità: i Daft Punk, per esempio, non esistono più, e “Get Lucky” la suono io sul palco, so che è esattamente ciò che vorrebbero loro. O Madonna, ha una carriera così lunga che alcune hit non le suona o le propone troppo poco, e allora mi prendo io il compito di tenerle vive...».
Una carriera incredibile, ma c’è un momento particolare in cui ha capito che la strada che stavate percorrendo era quella giusta?
«Quando abbiamo fatto il primo disco e firmato il primo contratto. Avevamo sperimentato tanti stili, jazz, punk prima ancora che esistesse il punk, rock spinto, ma è stato il passaggio da The Big Apple Band, il nostro vecchio nome, a Chic, che ha cambiato tutto. È successo per caso, avevamo scelto di chiamarci così per rappresentare New York, poi scoprimmo che era uscita una canzone pubblicata da Walter Murphy & The Big Apple Band, e a quel punto lui è rimasto Walter Murphy, e noi siamo diventati Chic. Che è sì un nome, ma anche un concetto di eleganza, e da lì la nostra strada è stata tracciata».