TARANTO - Una città che si ritrova attorno ai riti. La ripresa dopo il lockdown di due anni imposto dalla pandemia ha visto una intensa partecipazione da parte della comunità tarantina e dei tanti turisti che hanno affollato per l’occasione le vie del borgo e della città vecchia. Per vedere il ritorno dei perdoni, per assistere alle processioni del Giovedì e Venerdì Santo che hanno caratteristiche uniche, per ammirare la straordinaria bellezza dei simulacri, per indugiare sul lento incedere dei penitenti al suono struggente delle marce funebri. Tradizione che si trasforma anche in un grande evento mediatico. La folla, il rito, l’abbraccio ideale, ma non per questo meno sentito, di migliaia di persone ai confratelli. Un’altra conferma di come i Riti e la Settimana Santa siano un segno che identifica la città. E fanno ritrovare a Taranto quel senso di appartenenza che quasi mai c’è nelle altre occasioni. Ed è stato così anche nella notte dell’Addolorata. Emozionante, come sempre, l’apparizione della statua sul sagrato del tempio di San Domenico alla mezzanotte, accolta dai fedeli che hanno riempito il pendio, vico Imperiale e piazza Fontana. L’incontro della Madonna col suo popolo.
E poi il Venerdì Santo lo scenario dei Misteri, carico di forza, tradizione, suggestività. Le note delle bande, gli appartenenti alle forze dell’ordine schierati in alta uniforme ai lati della chiesa, la gente accalcata dietro le transenne, il «plotone» di fotografi e cameraman. Una preghiera per ogni statua. Un pensiero su ogni momento della Passione di Gesù. Ma anche un richiamo ai problemi dell’oggi, alle conseguenze della pandemia, alle guerre, alle tante emergenze del sociale. Di fronte al lento incedere dei confratelli, guardi assorti, incuriositi, a volte increduli, ma anche silenzio, preghiera, raccoglimento. E l’invito collettivo che monsignor Marco Gerardo, padre spirituale della confraternita del Carmine, ha rivolto dalla piazza mentre le statue e le poste dei confratelli si dispongono ad una ad una per il sacro corteo: non chiudersi negli egoismi, nella solitudine dell’io. La processione si è lentamente sgranata. Prima la troccola, poi il Gonfalone, la Croce dei Misteri, le statue di Cristo all’Orto, Gesù alla Colonna, Ecce Homo, La Cascata, il Crocifisso, la Sacra Sindone, Gesù Morto e l’Addolorata. È la raffigurazione della via Crucis. Tra un simulacro e l’altro, le «poste». Verso sera l’arrivo dell’arcivescovo Filippo Santoro per il discorso alla città e ai confratelli dalla loggia del Carmine.
Il triduo si è chiuso oggi con il rientro dei Misteri. C'è solo un rumore che si attende e che si vuole sentire chiaro, perché è il felice compimento dei Riti, e sono i tre colpi di mazza che il troccolante batte sul portone della chiesa che a quel punto si spalanca. E parte l'applauso del pubblico. Così oggi attorno alle 9.45. Alla fine tutto, pensieri, meditazioni, preghiere, si ricompone in questa piazza da dove il sacro corteo dei Misteri era partito. E ci sono anche le lacrime che rigano il volto dei confratelli che, di lì a poco, dovranno sganciarsi dalla «posta» e quindi dal loro compagno di pellegrinaggio, oppure da un simbolo o dalle «sdànghe» di una statua. Quel pianto non è segno di fragilità, bensì di commozione, di attaccamento profondo, di un legame intimo, viscerale alla Settimana Santa.