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Bari, «La legge violenta della squadra anticrimine», il film girato nella redazione della Gazzetta di via Scipione

 
Valentino Sgaramella

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Valentino Sgaramella

I retroscena rivelati da Lino Capolicchio che nel 1975-76 interpretò il film di Stelvio Massi con Rosanna Fratello

Venerdì 03 Luglio 2020, 14:11

BARI - Un grande attore di teatro, un gentleman come ce ne sono pochi ormai, Lino Capolicchio, uno di quelli che hanno l’Accademia alle spalle, e un grande giornalista sportivo della «Gazzetta del Mezzogiorno», Michele Milella, hanno molto da raccontare.

Hanno partecipato entrambi a un film di genere poliziottesco, «La legge violenta della squadra anticrimine», girato a Bari e in particolare nella redazione della «Gazzetta» di viale Scipione l’Africano nell’inverno1975-76. Capolicchio da protagonista, Milella interpretando se stesso, uno dei giornalisti del quotidiano.

Diplomatosi all’Accademia, Capolicchio vince una borsa di studio e al saggio finale viene notato da Giorgio Strehler. A soli 21 anni lo fa debuttare sostituendo Corrado Pani ne «Le baruffe chiozzotte» di Carlo Goldoni. Nella sua vita, sempre in giro per il mondo, girerà 38 film e reciterà in 24 spettacoli teatrali.

Il film ha una trama avvincente. In 88 minuti, si confrontano il commissario di polizia Jacovella (l’attore italoamericano John Saxon), il direttore della «Gazzetta» (Renzo Palmer), un giovane criminale vittima però del sistema della mala, Antonio Blasi (Capolicchio), la sua fidanzata Nadia (una splendida Rosanna Fratello) e tanti altri artisti in un cast di prestigio, diretti dal regista marchigiano Stelvio Massi, maestro del genere. Jacovella è un funzionario di Polizia dai modi sbrigativi e decisi anche se onesto, dai metodi non proprio ortodossi: è il capo della Squadra mobile della città. La stampa nel film non condivide i suoi metodi sbrigativi ma Iacovella ricambia la disistima nei confronti dei cronisti. La situazione in città è tesa. Blasi è un giovane disoccupato che vorrebbe sposare Nadia. Esasperato, partecipa a una rapina con altri complici. La rapina viene sventata, l’autista della banda ucciso e i banditi ingaggiano una sparatoria con l’agente di guardia fuori dalla banca. Blasi uccide il poliziotto. Poi, in preda al panico, fugge per le vie della città. Blocca un’auto e costringe il conducente a scendere. La vettura però è di proprietà di Pasquale Ragusa, fratello di un boss mafioso e non vedente della zona, che trasporta di ritorno da Roma alcuni documenti scottanti tra cui la lettera di un ministro corrotto. Dopo alterne vicende con riprese anche all’interno del quotidiano, Blasi sarà ucciso proprio in viale Scipione L’Africano dinanzi ai cancelli della «Gazzetta».

Nel 1975 Lino Capolicchio, classe 1943, era un attore già molto famoso. Cinque anni prima aveva ottenuto un riscontro internazionale con il ruolo da protagonista, ad appena 27 anni, nel capolavoro di Vittorio De Sica «Il giardino dei Finzi Contini» tratto dal romanzo di Giorgio Bassani. Lo rintracciamo al telefono nella sua casa in provincia di Latina: «Che bella città Bari - risponde con cortese disponibilità. Ci tornerò ad agosto, al Bif&st, per presentare la mia autobiografia. Sono molto affezionato alla Puglia. Quello è stato l’unico film di genere che ho girato nella mia carriera - racconta -. Rimasi molto affascinato dalla storia e in particolare dal monologo che recito con l’attrice che interpreta la mia fidanzata, ossia Rosanna Fratello. Mi piacque molto quel monologo perché aveva una valenza quasi shakesperiana».

Capolicchio alloggiava all’Albergo delle Nazioni: «Era bellissimo, tutto déco, tra rococò e stile Impero, mi innamorai dell’architettura di quell’edificio. A Castel del Monte - ricorda - registrammo anche scene acrobatiche, in parte io e in parte una controfigura». La troupe trascorre a Bari più di un mese. L’attore rivela una chicca: «All’interno dell’albergo dovevamo girare la scena della rapina. C’erano dei cavi sul pavimento e io vi inciampai e caddi. Ascoltai delle risate provenire dal secondo piano. Mi voltai e vidi due ragazze. Domandai loro “scusate ma voi per vedermi recitare avete pagato il biglietto?”. Mi risposero “no, siamo qua, non dobbiamo pagare il biglietto”. Finisco di girare, rientro in albergo e trovo una delle due seduta al bar. Vado a consumare qualcosa e lei mi domanda “devo pagare il biglietto anche qui, visto che c’è ancora lei?”. Le dico di non preoccuparsi». L’artista scopre che quelle due ragazze sono giovanissime attrici e che di lì a breve per loro sarebbero iniziate le prove. «Mi incuriosì questa cosa - racconta Capolicchio a 45 anni di distanza -. Chiesi di quali prove si trattasse. La ragazza si schermì, mi disse che faceva parte di una compagnia di attori non professionisti, alle prime armi».

Allora l’attore in una pausa va ad assistere alle «prove» e si rende conto che la giovane aveva talento. «Era bravissima - sottolinea -. Siamo andati a cena con tutta la compagnia. Chiesi di parlare con i suoi genitori per convincerla a studiare recitazione a Roma. Questa ragazza si chiama Carmela Vincenti di cui sono amico per sempre».

Un legame fortissimo con Bari: «Per me la vostra città è un mito - ammette -. Ci arrivai per la prima volta nel 1968 perché recitavo al Piccinni con Raf Vallone e Alida Valli in “Uno sguardo dal ponte” di Arthur Miller. Era la vigilia di Natale e nevicava, il che è strano al Sud».

Poi un episodio che non dimenticherà mai. «Molti anni dopo recitai al Petruzzelli un monologo, “La caduta della casa degli Usher” di Edgar Allan Poe. Recitavo da solo per un’ora e 20 minuti. Impararlo a memoria fu una fatica enorme. Era come scalare l’Everest. Non so perché ma si dice che l’autore porti un po’ iella». Repliche che vanno avanti per oltre un mese con il tutto esaurito nel grande teatro barese. «Dovevo partire per gli Stati Uniti per girare un film con la regia di Pupi Avati. Prima di lasciare Bari, chiesi al direttore del teatro con quale opera lirica sarebbe iniziata la stagione e mi disse che era la Norma, un titolo che non porta benissimo perché finisce con un incendio. Vado in America e una notte sogno che il Petruzzelli va a fuoco, un incubo spaventoso». Avati concede un giorno di riposo e mette a disposizione di Capolicchio un’auto con autista per andare a Chicago. «In quella metropoli acquisto una copia del Corriere della Sera e leggo in prima pagina che il Petruzzelli è andato a fuoco».

Non è finita. Trascorrono altri anni. «Leggo su un altro quotidiano che a Bari è stata trovata assassinata in casa, nella vasca da bagno, una signora di 50 anni. Era la truccatrice del Petruzzelli (Anna Costanzo, ndr) che mi truccava quando recitavo quel monologo».

Capolicchio conserva un ottimo ricordo dei giornalisti della «Gazzetta». «Girammo il film a gennaio. Faceva freddo e ricordo che i giornalisti mi invitavano a prendere un tè nelle pause, e mi invitavano a cena. Sono stati molto carini».
Michele Milella all’epoca era vice caposervizio della redazione sportiva. Uno di quelli che ha iniziato dalle squadre di calcio minori, poi approdato a raccontare i match di serie A. «Il regista - racconta Milella, oggi in pensione - ci diceva di non metterci in evidenza dinanzi alla cinepresa alzando la testa. Ogni giornalista o poligrafico - rivela - avrebbe dovuto recitare la parte al naturale, come se stesse svolgendo la propria attività quotidiana. Io per esempio dovevo controllare la mia pagina di sport».
Milella spiega: «Ricordo il compianto Renzo Palmer nel ruolo del direttore della “Gazzetta” che, pur non condividendo l’azione del capo della Mobile, doveva rispettarne ruolo e funzioni. Sapeva che il rapinatore Blasi non era un cattivo nell’anima e perciò era in conflitto con il poliziotto che nel film voleva a tutti i costi colpevolizzarlo». Tra i giornalisti che appaiono nel lungometraggio, c’è Nicola Sbisà, apprezzatissimo critico musicale, scomparso recentemente.

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