BARI - Il militare pugliese col naso rosso indossa la divisa dell’Aeronautica militare cinque giorni su sette e serve il Paese difendendo il fianco est dell’Alleanza, in missione in Romania; nei due giorni di riposo però molla anfibi e colleghi, riempie le tasche di palloncini e va nel reparto di Oncologia pediatrica dell’ospedale Spitalul Clinic Judetean de Urgenta di Costanza. Lì Vincenzo (la Forza Armata ci ha chiesto di ometterne il cognome; ndr), trasformatosi in un pagliaccio di corsia, semina sorrisi sui volti dei piccoli pazienti e porta un po’ di conforto a genitori devastati da quella che, umanamente, è forse la più dura delle battaglie. «La mia vita è cambiata radicalmente 6 anni fa – racconta al telefono il sottufficiale originario di Gioia del Colle - Ero in Bulgaria per l’Aeronautica, nel 2017, e decido di visitare Plovdiv (seconda città del Paese, dopo Sofia; ndr), allontanandomi dalle strade principali. Lì ogni via è indicata in cirillico e così chiedo aiuto a una persona. Si chiamava Yordanka e sarà lei a farmi conoscere la vita reale lì. Mi racconta di sé, del suo impegno in orfanotrofio. Entrerò anch’io in quell’orfanotrofio dedicato a Olga Skobeleva e scoprirò i soprusi che quel popolo ha subito nel passaggio dal regime comunista».
Yordanka le ha fatto scoprire la vera periferia?
«Sì. Questa gente non arriva alla fine del mese, è vittima dell’eredità di Chernobyl e gli ospedali non sono gli stessi dell’Italia. Vedi con i tuoi occhi come i ricchi possono curarsi, in Svizzera, e i poveri non hanno speranza. Anche Yordanka morirà di cancro, a 65 anni. Io intanto, terminata la missione e tornato in Italia, al 36° Stormo di Gioia del Colle, decido di fare qualcosa per gli altri, per i più piccoli e malati. Su Internet trovo l’associazione “Teniamoci per mano”. Li contatto, faccio il corso base, faccio il tirocinio in corsia e inizio questa esperienza che continua al Policlinico di Bari, all’oncoematologico, e all’ospedale Giovanni XXIII ma ora con l’associazione “Vivere a colori”. Poi quest’anno vengo mandato in missione in Romania e allora propongo al comandante di fare qualcosa in più e di diverso rispetto agli impegni con la Nato. Lui è subito entusiasta e prendiamo contatti con la direttrice dell’ospedale che ne è felice. Ci tengo a sottolineare che il comandante, il colonnello, ha davvero sposato la causa di non fare solo difesa aerea qui. Abbiamo fatto anche una raccolta di fondi tra tutta la task force per comprare e donare all’ospedale un Holter Ecg perché non hanno nemmeno quello».
Può spiegare il valore della clownterapia?
«Glielo spiego con Marcus (nome di fantasia; ndr) che ha 6 anni ed è un malato terminale oncologico che passa tutto il tempo col telefonino. Il bimbo come mi ha visto, ha lasciato immediatamente il cellulare e ha giocato tutto il tempo con me. Loro sono spensierati davvero in questa oretta mentre il dramma maggiore è quello dei genitori… Sono lì accanto al bambino… È dilaniante per l’animo umano stare in questi reparti. Ieri mi ha sconvolto entrare nella stanza di Boris (nome di fantasia; ndr). È un bimbo ucraino e qui siamo a poche miglia dal confine. Gli ho fatto il cagnolino con i palloncini e lui l’ha preso e... l’ha usato come un mitra. Mi ha sconvolto pensare a questo bambino di 8 anni, a cosa gli sta cambiando all’interno, nel profondo, e se negli anni che verranno riuscirà a dimenticare ciò che ha visto nel suo Paese. La clownterapia? Dal momento in cui ho indossato quel naso rosso tutto è cambiato, ho ridefinito le mie priorità, i miei valori».
In che senso?
«Vedi la gente che veramente soffre, ti rendi conto di quanto si è più fortunati. Vedi un mondo nel tuo mondo che non avevi visto prima. La cosa meravigliosa è che quando fai clownterapia torni e sei stanco davvero ma anche rigenerato. Scopri che non sei stato tu a donare, è come se nel cuore ci fosse un pezzettino che questi bimbi ti hanno messo. Il sorriso di un bambino è la cosa più bella in assoluto… quando vedi le mamme e i papà che piangono… Riuscire in quella mezz’ora, un’ora, che dedichi al bambino ad alleviargli il dolore e a confortare, per quanto possibile, i genitori… invece la cosa più brutta è quando torni in ospedale e vai dritto in una stanza perché c’è il Marcus o il Boris che ti aspettano e scopri che... non c’è più… Scusi… Scusi».
Vincenzo si zittisce. Un profondo respiro, poi un singhiozzo strozzato.
Il naso rosso dona molti superpoteri, ma non protegge da tanta lancinante sofferenza. Vincenzo però ha trasformato anche questa in qualcosa di bello. Sulla sua esperienza di vita ha scritto il romanzo «A Domani». È in libreria da un anno (Les Flâneurs Edizioni nella collana Bohemien; 13,30 euro). I diritti d’autore li ha ceduti all’orfanotrofio di Plovdiv.