All’origine della violenza maschile sulle donne o del femminicidio, c’è sempre la vendetta di un uomo con un delirio di onnipotenza, che vuole ottenere e mantenere il controllo su degli oggetti d’amore, che poi si mostrano anche soggetti allorquando esercitano il proprio libero arbitrio nelle scelte e che egli percepisce come una minaccia alla propria virilità, intesa come machismo (der. di macho) e non già come forza derivante dalla consapevolezza di sé, dell’integrazione della sfera psico affettiva nella personalità adulta.
La violenza è la scorciatoia psichica per le persone che non hanno avuto la possibilità di sviluppare la propria componente affettiva e sentimentale, in risposta ad una solitudine o carenza educativa. Il modo di proteggere la propria maschera virile è l’aggressione per sterminare la fonte di un potenziale attacco: nella fattispecie le donne mogli, fidanzate, amanti.
Sono gli ultimi casi di femminicidio in Italia, sui quali ci stiamo ancora interrogando, senza addivenire a chiare responsabilità, come di fronte ad un killer occulto. Qual è la matrice di tali atti scellerati? La cultura di stampo patriarcale e in certo senso la possibilità che molta violenza, sebbene a livelli più contenuti, venga ancora accettata e spesso giustificata nella società. Ne sono un esempio concreto le disuguaglianze manifestate dal gender (e pay) gap, gli squilibri sulla distribuzione dei carichi in famiglia, i toni alti subìti, le svalutazioni camuffate da ironia di basso livello, i commenti sui costumi e sulle abitudini delle donne, le pubblicità che fanno del corpo femminile (e anche maschile) un oggetto dal valore simbolico subliminale a sfondo sessuale, il linguaggio falso compiacente con cui si apprezzano caratteristiche solo estetiche, ponendo quelle intrinseche solo in secondo piano, i tentativi di seduzione adoperati al fine della sottomissione di persone a mo’ di oggetti di cui disporre a proprio piacimento, quale estensione del proprio ego.
La relazione richiede la conoscenza dell’io, per identificare un tu. La dinamica relazionale necessita dello sviluppo di una interiorità in cui l’io si riconosce e grazie a questo contatto e accettazione, anche emotiva, può incontrare un tu. Per farlo ha bisogno di un primo contatto con un tu che l’ha visto, riconosciuto e amato: il primo riferimento affettivo ed educativo, in cui nasce il sé.
Secondo l’antropologa messicana, Marcela Lagarde, importante studiosa femminista, considerata la teorica del femminicidio dopo i fatti di Ciudad Juarez, il femminicidio è la massima espressione della violenza di genere contro le donne. Ne sono un esempio la violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato tra i quali i maltrattamenti, la violenza psicologica e fisica, educativa, l’abuso sessuale, sul lavoro, la violenza economica, patrimoniale, familiare fino a quella commessa dalle istituzioni, quando si verifica l'impunità delle condotte aggressive. Sia la società che lo Stato, allorquando non tutelano le donne in condizioni di rischio e bisognose di difesa. Tutte queste cause possono avere come esito finale estremo l'uccisione della donna stessa e delle bambine, attraverso sofferenze, traumi e morte. Il femminicidio, in questo senso per Lagarde è l'ultimo passo di un ciclo di violenza scaturita dal modello socio-culturale patriarcale, dove la donna occupa una posizione di subordinazione, divenendo soggetto discriminabile, violabile e persino uccidibile.
L’uomo violento, tuttavia, è un adolescente, sprovvisto di strumenti per autogestirsi e per costruire relazioni sane con gli altri. L’antidoto è la difesa (sana) – personale e collettiva-, attraverso il rafforzamento della personalità e degli strumenti di riconoscimento di relazioni potenzialmente tossiche (strumentali e non reciproche), fin dalla prima infanzia, al fine di gestirle e di non restarne soggiogate o uccise.