TARANTO - «Mio figlio Lorenzo ha subito 28 interventi in soli cinque anni di vita: ben 15 al cervello e 3 di questi per tentare di ridurre la massa del tumore. Era diventato cieco assoluto e pesava pochissimo».
È uno dei passaggi del doloroso racconto di Mauro Zaratta, padre del piccolo Lorenzo il bimbo di soli 5 anni, ucciso il 30 luglio 2014 da un «astrocitoma» e divenuto simbolo della lotta all’inquinamento a Taranto.
È stato proprio papà Mauro il primo testimone del processo che dovrà stabilire se siano state le emissioni dell'ex Ilva a generare quella malattia che ha portato alla morte di “Lollo”.
Dinanzi al giudice Anna Lucia Zaurito, Mauro Zaratta ha risposto alle domande del pubblico ministero Mariano Buccoliero e poi degli avvocati di parte civile Leonardo La Porta e Antonio Dell'Atti, ripercorrendo i difficili anni trascorsi tra gli ospedali di Firenze e Roma.
Alla sbarra sono finiti Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento Ilva fino al 3 luglio 2012 e l'ex responsabile dell’Area Parchi Minerali Marco Andelmi, il capo dell’Area Cokerie Ivan Di Maggio, il responsabile dell’Area Altiforni Salvatore De Felice, i capi delle due Acciaierie Salvatore D’alò e Giovanni Valentino.
Gli accertamenti svolti dai consulenti dell’avvocato Leonardo La Porta che assiste la famiglia di Lorenzo, infatti, avevano documentato la presenza di ferro, acciaio, zinco e persino silicio e alluminio nel cervello del piccolo Lorenzo e proprio in quelle zone si sono sviluppate masse tumorali.
Il processo, quindi, dovrà valutare non il fatto che l’esposizione ambientale possa aver generato un tumore, ma che quelle determinate sostanze ritrovate lo abbiano generato. Nella prossima udienza, sarà ascoltata Roberta Schinaia, madre del piccolo Lorenzo.