TARANTO - «Ormai lavoriamo qua, abito in Italia da tanti anni, ogni tanto torno in Pakistan, ma vorrei che la mia famiglia fosse qui». Muhammad Saleem ha 45 anni, viene da Punjab in Pakistan, ha un permesso di soggiorno a tempo indeterminato e vive in Italia da quasi 20 anni. Ha iniziato a richiedere la cittadinanza due anni fa, ma si tratta di un percorso lungo e tortuoso che ha deciso di affrontare spinto dalla voglia di dare un futuro ai suoi cinque figli, che spera di portare in Italia attraverso il ricongiungimento familiare. «Mi piacerebbe – racconta - rimanere qui in Italia con loro. Speriamo, se Dio vuole, io ho fatto la richiesta. Vorrei che i miei figli crescessero e studiassero qui in Puglia, perché io sto bene qui e spero per loro in un futuro migliore».
Asad Ali invece ha 36 anni, anche lui ha fatto la richiesta di cittadinanza, nonostante il permesso di soggiorno indeterminato con cui risiede in Italia da 15 anni. Lui si è appena sposato in Pakistan. «Mia moglie – dice sorridendo - è bellissima e mi manca. Nel nostro Paese la cerimonia del matrimonio dura per 7 giorni. È stato stupendo, ma poi sono dovuto tornare qui al mio lavoro. Ormai l’Italia per me è una seconda casa, qui ho un lavoro e mi sento cittadino come lo sono in Pakistan».
Sia Muhammad che Asad producono e vendono bigiotteria. Braccialetti, collanine, cavigliere e orecchini sono il loro pane quotidiano che vendono come ambulanti. Hanno un banchetto in alcuni stabilimenti balneari della provincia di Taranto e ci tengono a sottolineare di essere in regola, hanno aperto una partita Iva, hanno una casa e pagano le tasse. Eppure entrambi vivono la solitudine della lontananza. Raccontano di non avere «lasciato» il loro Paese, ma di essere stati obbligati a spostarsi per trovare un lavoro. «I primi anni qui – racconta Asad – sono stati difficili, ora mi sono abituato. Sono qui per lavorare, se non lavoro non posso aiutare la mia famiglia». Il desiderio di Asad è di portare sua moglie in Italia e creare insieme una famiglia.
La cittadinanza Italiana, oltre che a garantire loro il voto e maggiori tutele nel lavoro, serve proprio ad avere una corsia preferenziale nel poter rivedere i propri cari. Eppure ci sono delle difficoltà burocratiche che rendono la richiesta difficile. La questione va ben oltre i 10 anni di attesa.
«Il problema principale – racconta Asad – è l’ambasciata italiana in Pakistan, è lì che dobbiamo reperire documenti e visti, ma hanno tempi lunghissimi per gli appuntamenti. La gente aspetta anche uno o due anni per avere i documenti, ma poi i moduli di richiesta scadono». La richiesta ha una scadenza che non coincide con i tempi pakistani, così ci si ritrova spesso a dover rifare tutto dall’inizio. Ai 10 anni di attesa per richiedere la cittadinanza, si sommano quelli per avere un appuntamento in ambasciata, cui vanno aggiunti i tempi per la produzione dei documenti come la fedina penale e lo stato di famiglia, che poi devono essere approvati. Tempi che superano i tre o quattro anni. Eppure non è la stessa cosa negli altri Paesi. «Tempi lunghi o brevi – spiega Muhammad – dipende dal Governo, ma io ho il dovere di rispettare quello che dicono e procuro tutti i documenti che servono».
Una corsa contro il tempo, in cui i parenti, a chilometri di distanza, lottano con la burocrazia e un sistema che non consente alle donne di occuparsi di queste faccende. «Per me sono già cittadini – dice ottimista Asad – se avrò il passaporto anche loro lo avranno».