BARI - Consumare meno coke, il carburante per altiforni dell’ex Ilva molto impattante sull’ambiente, utilizzando in alternativa il preridotto (Dri) ovvero il materiale metallico prodotto dal minerale ferroso usando esclusivamente dei gas riducenti e senza portarlo a fusione. La produzione di Dri, usando la tecnologia del gas naturale o del carbone, è utilizzata con successo in varie parti del mondo. Da un lato, il processo Dri è molto efficiente dal punto di vista energetico; dall’altro lato, è possibile ottenere ulteriori guadagni di energia se il materiale caldo viene immediatamente trasferito all’operazione di fusione nel forno ad arco elettrico.
In questo modo, il calore del processo del ferro diretto riduce il costo di fusione del DRI nell'EAF, riducendo significativamente i costi energetici. L'idrogeno rappresenta una sfida speciale del processo DRI.
L’obiettivo doveva essere raggiunto realizzando a Taranto un impianto di produzione di preridotto ma, come scritto nell’edizione di ieri, il Consiglio di Stato ha confermato l'annullamento dell'aggiudicazione a favore di Paul Wurth Italia Spa del relativo l'appalto, annullando l'intera procedura di gara avviata da Dri d’Italia Spa, controllata da Invitalia. La gara, dunque, dovrà essere rifatta. I giudici amministrativi, chiamati a pronunciarsi sul ricorso di Dri d’Italia contro Danieli & C. Officine Meccaniche, hanno confermato integralmente la decisione assunta circa un anno fa dal Tribunale amministrativo regionale di Lecce. Le disposizioni di gara richiedevano un’offerta in modalità "EPC" (Engineering, Procurement and Construction), ovvero un appalto "chiavi in mano", comprensivo della progettazione e realizzazione dell’opera. Tuttavia, l’appalto era stato assegnato sulla base di un’offerta in modalità "EP" (Engineering and Procurement), limitata cioè alla sola progettazione e fornitura, escludendo la costruzione. Di conseguenza, «Paul Wurth ha sicuramente presentato un’offerta non conforme alle richieste della stazione appaltante», perché non prevedeva la parte riguardante la realizzazione dell’impianto. La gara era stata bandita da Dri d’Italia, società di Invitalia, i cui vertici erano stati nominati nel corso della precedente legislatura. A quanto risulta a fonti vicine al dossier, anche Invitalia avrebbe a suo tempo avanzato perplessità in merito alle modalità di gara. Risulterebbe inoltre che gli attuali Commissari di Adi in amministrazione straordinaria non siano mai stati messi a conoscenza, da parte di Dri d’Italia, delle condizioni previste nel bando né delle ragioni che hanno condotto il Consiglio di Stato ad annullare la gara. Con l’attuale sentenza, non viene contestata solo l’assegnazione della gara, ma la sua stessa impostazione: la previsione della sola progettazione, e non anche della costruzione, come invece richiesto. Un errore dunque grave, da imputare a chi ha scritto la gara.
L’attuale governo, consapevole delle criticità della procedura, aveva fin da subito evidenziato i rischi, prevedendo che, così come formulata, la gara sarebbe stata annullata anche in sede definitiva dal consiglio di stato. Così fosse stato, «non sarebbe stato possibile l’utilizzo nei tempi previsti delle risorse del pnrr». Per questa ragione, il governo Meloni (ministro Fitto d’intesa con il ministro Urso) decise di «riallocare quei fondi verso altri capitoli e di sostituirli con un miliardo proveniente da fondi nazionali», in particolare fondi di coesione, che presentano tempistiche di utilizzo più ampie. Ora la procedura dovrà essere rifatta, includendo finalmente anche la realizzazione dell’impianto. Fortunatamente ciò potrà avvenire con risorse nazionali, non più vincolate alle rigide tempistiche del Pnrr.