TARANTO - Ha confermato tutte le accuse nei confronti del vice commissario 65enne, la vigilessa chiamata a testimoniare nel processo che vede l’uomo imputato con l’accusa di aver piazzato nel 2019 una telecamera nei bagni del personale spiando così alcune colleghe che si cambiavano o utilizzavano i servizi igienici.
Difeso dagli avvocati Pasquale Corigliano e Franz Pesare, l’uomo deve rispondere di atti persecutori, ma anche del reato di interferenze illecite nella vita privata: nel corso dell’udienza di ieri è stata una delle agenti ha ricostruito l’intera vicenda dinanzi al giudice Elio Cicinelli. Nel procedimento si sono costituite parti civili, attraverso gli avvocati Cataldo Fornari, Michela Soldo e Giuseppe Tanzarella, le tre colleghe vittime dello «spione», ma anche il commissario della stazione di Polizia locale del Comune in provincia di Taranto.
Una vicenda venuta a galla pian piano e poi denunciata ai carabinieri: una delle agenti aveva notato una penna piazzata con lo scotch sul cestino dei rifiuti nel bagno. Sospettando che si trattasse di un dispositivo di registrazione, aveva poi informato altri colleghi. Piano piano, nei giorni seguenti, anche altre poliziotte, avvisate della cosa, avevano notato la comparsa e sparizione dell’oggetto incriminato sistemato sempre in diversi punti della toilette. A capire che potesse trattarsi del 65enne, era stata poi una delle colleghe dell’uomo che trovandosi in servizio con l’imputato ha notato la telecamera sparire subito dopo che il vice commissario era stato nella toilette. Nel panico, la donna, ha informato il superiore e dopo alcuni giorni ha trovato il coraggio di attendere che fosse rimessa in posizione la penna digitale per sottrarla: assieme ad altri colleghi, ha così visionato i filmati e si è resa conto della gravità della situazione e ha denunciato l’accaduto.
All’imputato, il pubblico ministero Vittoria Petronella contesta anche il reato di stalking nei confronti di una delle poliziotte in servizio. Ai carabinieri la donna ha spiegato di essersi sentita controllata dal 65enne che non soltanto monitorava i suoi accessi su Whatsapp, ma che la contattava costantemente, rivolgendole spesso domande invadenti. Non solo. Secondo il racconto dell’agente, spesso veniva incaricata di svolgere mansioni destinate agli operai, come il cambio di batterie ai semafori oppure assegnata dal suo superiore a svolgere compiti in completa solitudine, allo scopo di tenerla isolarla dal resto del personale.