TARANTO - Vivi per miracolo. L'incendio dell'Altoforno1 nell'ex Ilva di Taranto avvenuto il 7 maggio scorso poteva essere il remake dell'incidente in cui perse la vita Alessandro Morricella, operaio colpito da una fiammata a giugno 2015 e morto per le ferite riportate. Questa volta però, le vittime, potevano essere anche di più: lavoratori che hanno cercato di spegnere il rogo in un inferno di fuoco, gas e fumo. Anche loro, come Morricella, si trovavano nel posto sbagliato. Momenti terribili immortalati dai video catturati dalle telecamere presenti nel reparto della fabbrica e su cui ora si stanno concentrando le indagini della procura di Taranto che ha disposto il sequestro senza facoltà d'uso dell'area. Incendio colposo e getto pericoloso di cose sono i reati contestati dal pubblico ministero Francesco Ciardo, ma non solo: quell'incendio secondo gli inquirenti è un «incidente rilevante» e Acciaierie d'Italia avrebbe dovuto informare una serie di organi istituzionali e avviare attività che, secondo l'accusa, non sarebbero state fatte.
Ma soprattutto le attività investigative di Arpa Puglia, dello Spesal, dei carabinieri e dei vigili del Fuoco stanno cercando di ricostruire gli ultimi giorni di vita dell'impianto ripartito a ottobre scorso alla presenza del ministro Adolfo Urso: una cerimonia in pompa magna per incoraggiare gli acquirenti a formulare offerte per rilevare lo stabilimento tarantino e che oggi, a distanza di soli sei mesi rischia di diventare un boomerang. È lo stesso Urso ad ammetterlo: «Temo - ha dichiarato il titolare del Mimit - che le ultime notizie non incoraggino i nuovi investitori in quello che è un percorso difficile per tutti, a cui spero che tutte le istituzioni partecipino in maniera propositiva, per evitare che anche gli investitori internazionali che avevano mostrato interesse ad acquisire gli impianti possano essere scoraggiati dal farlo». Insomma questo incendio e il sequestro sono una bella grana per il Governo ormai a un passo dalla vendita degli impianti agli indiani di Baku Steel.
«All’interno della fabbrica - hanno dichiarato in una nota congiunta Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia per la Fiom Cgil e Francesco Brigati, segretario generale Fiom Cgil Taranto - si continua a vivere in un clima di incertezza e forte preoccupazione rispetto alle prospettive ambientali, industriali e occupazionali del sito di Taranto». Lo stesso clima che si respirò dopo luglio 2012 quando il gip Patrizia Todisco firmò lo stop all'area a caldo: da quel giorno fino al 2015 in fabbrica persero la vita ben quattro lavoratori Claudio Marsella, Francesco Zaccaria, Ciro Moccia e Alessandro Morricella. Il processo per la morte di quest'ultimo ha portato alla condanna di tre dirigenti della fabbrica, ma nella sentenza il giudice Federica Furio ha spiegato che l’unico modo per scongiurare quella tragedia «sarebbe stato evitare che il colatore si trovasse nella direttrice del foro di colata al fine di effettuare il prelievo della temperatura» e che l'azienda, allepoca sotto la gestione dei Riva, avrebbe dovuto prevedere «metodi di misurazione della temperatura automatizzata». A distanza di 10 anni, però, un nuovo incidente si è ripresentato in modalità quasi identiche. Con tutti i rischi che ricadono, come sempre, sugli operai.