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«Non sono il mandante dell'omicidio di mio fratello», parla Tiziano Nardelli, in carcere per il delitto di via Cugini

 
Francesco Casula

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Francesco Casula

«Non sono il mandante dell'omicidio di mio fratello», parla Tiziano Nardelli, in carcere per il delitto di via Cugini

La vittima, Mimmo Nardelli, 62 anni, fu freddata da due colpi di pistola la sera del 26 maggio 2023

Giovedì 28 Novembre 2024, 16:45

17:29

TARANTO. «Non andava torto un capello a mio fratello. Non gli andava fatto del male. Le intercettazioni sono lì, non ho mai chiesto a Vuto di usare metodi violenti contro mio fratello». Sono alcune delle spiegazioni fornite in aula da Tiziano Nardelli, accusato di essere il mandante dell’omicidio del fratello Mimmo Nardelli, freddato da due colpi di pistola la sera del 26 maggio 2023 in via Cugini. Un delitto per il quale sono finiti in carcere, oltre a Nardelli come mandante, anche il 44enne Paolo Vuto ritenuto l'organizzatore dell'agguato e difeso dagli avvocati Fabrizio Lamanna e Valerio Diomaiuto, e ancora il 20enne Aldo Cristian Vuto, figlio di Paolo ritenuto l’esecutore materiale del delitto e difeso dall'avvocato Salvatore Maggio, e infine il 23enne Francesco Vuto, cugino di Paolo, indicato come conducente dallo scooter su cui viaggiava il killer quella sera di maggio e assistito dall'avvocato Andrea Maggio.

Rispondendo alle domande dell’avvocato Luigi Danucci, Nardelli ha cercato di fornire una lettura alternativa di una serie di intercettazioni che invece per i pubblici ministeri Milto De Nozza e Francesco Sansobrino sono la prova schiacciante del suo coinvolgimento nel delitto: in particolare per l’accusa, Nardelli avrebbe dato il suo assenso all’azione di quella sera, ma per l’imputato in realtà quelle parole significavano altro.
«Io non ho mai chiesto nessuna intimidazione, nessuna pressione su mio fratello, ma quando io affermavo di intervenire contro di lui intendevo che lo licenziavo dalla cooperativa di famiglia perché aveva sperperato una fortuna e stava anche rubando i prodotti per venderli a nero».

Secondo Tiziano Nardelli, in alcune conversazioni del giorno precedente, emerge chiaramente che si discuteva tra lui e Paolo Vuto di dividere i beni: la cooperativa sarebbe rimasta a Tiziano mentre i terreni sarebbero andati a Mimmo che però avrebbe dovuto costituire una sua cooperativa.

Il giorno del delitto, però, Tiziano Nardelli era a Roma per problemi di salute di una familiare e contemporaneamente chattava con Vuto per i problemi in corso con fratello Mimmo:
«Domani torno, si ragiona. Si trova soluzione. Su insistenza di messaggi di Vuto, vista la situazione familiare in cui mi trovavo, ho detto “se ritenete di fare qualcosa subito, valutate”. Io però ero a Roma, è stato il giorno più brutto della mia vita e mai avrei immaginato questa cosa: mai avrei permesso un’azione del genere su mio fratello».

Insomma per Nardelli la decisione di far partire il commando, non è mai stata una sua decisione. A pesare tuttavia sulle sue dichiarazioni ci sono i messaggi immediatamente precedenti e successivi al delitto. Quando ad esempio Paolo Vuto scrive che Aldo e Checco Vuto «sono partiti» e Tiziano Nardelli risponde con il pollice alto in segno di «ok». Oppure quello successivo in cui Vuto scrive «hanno preso sotto casa». E soprattutto la conversazione tra Paolo Vuto e Tiziano Nardelli diverse ore dopo l’omicidio: quando è ormai chiaro che Mimmo è morto, Nardelli non chiede spiegazioni di quanto accaduto. Al telefono accoglie le condoglianze di Paolo Vuto, ma non gli chiede il perché di una decisione così drastica. Ed è su questi aspetti che si sono concentrati i pm De Nozza e Sansobrino convinti che in realtà che la scelta di uccidere il 62enne sia partita proprio dal via libera concesso dal fratello della vittima.

I pm De Nozza e Sansobrino hanno chesto a Nardelli se sulle parole usate nei messaggi da Vuto come «lo bombardiamo» o «gli passiamo sopra come un carro armato» il significato fosse solo quello di estrometterlo dalla società. Inoltre l'imputato rispondendo alle domande del pubblici ministeri ha confermato di essere a conoscenza del tentato omicidio Troia avvenuto un mese prima dell'omicidio Nardelli e quindi il pm De Nozza ha evidenziato come l'uomo sapesse che il gruppo era un'organizzazione agguerrita in grado di usare le armi. E ancora il presidente della corte Filippo Di Todaro ha chiesto all'imputato se quando ha affermato che se lui fosse stato a Taranto le cose sarebbero andate diversamente intendeva dire che aveva un potere di comando sui Vuto. Dettagli su cui l'uomo non è stato in grado di fornire spiegazioni attendibili.

Subito dopo Aldo Vuto a rendere dichiarazioni spontanee: il giovane killer si è dichiarato pentito e ha tentato di scagionare il cugino Checco Vuto dalle responsabilità. Ha chiesto scusa ai parenti della vittima e poi il colpo di scena è giunto quando ha indicato in aula il luogo in cui è stata occultata l’arma del delitto.

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