TARANTO - Acciaierie d’Italia in AS rende noto che oggi è stata inviata l’istanza di esame congiunto per l'avvio della nuova cassa integrazione guadagni straordinari prevista per le aziende in amministrazione straordinaria.
La richiesta, trasmessa al ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, al ministero delle Imprese e del Made in Italy, nonché alle rappresentanze sindacali unitarie e alle organizzazioni sindacali, interesserà un numero medio di dipendenti fino ad un massimo di 5200 e riguarderà tutti i siti della Società».
L’utilizzo della Cigs - precisa la società in una nota - che farà perno su trasparenti criteri di forte rotazione del personale, sarà strettamente connesso ai livelli di produzione degli stabilimenti e consentirà di ultimare il Piano di ripartenza con l’attivazione dopo l’estate del secondo altoforno».
La società - conclude - consapevole di richiedere alle proprie persone un forte sacrificio, vuole continuare ad investire su un modello di relazioni industriali responsabile e in grado di accompagnare questa importante fase di cambiamento».
LE REAZIONI
«Oggi è l’ultimo atto della tragedia dell’ex Ilva, questa volta grazie al governo e ai commissari straordinari. Rispediamo al mittente la richiesta di cassa integrazione straordinaria per i lavoratori di Acciaierie d’Italia in As. Non si è mai vista una cassa integrazione non legata a un piano industriale, ma alla durata del commissariamento. È assurdo passare da una richiesta di cassa integrazione per tremila persone a una richiesta per 5.200, quindi dal 30% a oltre il 50% dei lavoratori». Lo dichiara il segretario generale della Uilm Rocco Palombella, aggiungendo che "a Taranto quasi il 60% dei lavoratori sarà in cassa integrazione, ci saranno più lavoratori a casa che in fabbrica, è intollerabile».
Da febbraio, osserva il sindacalista, «aspettiamo la risalita produttiva, i mille interventi di manutenzione previsti con il rientro a lavoro di tutti i manutentori, gli investimenti e il riavvio degli impianti e invece oggi siamo con una produzione al lumicino, impianti fermi, l’aumento della cassa integrazione e solamente un altoforno su tre in marcia».
Come «se non bastasse - attacca Palombella - oggi arriva questa richiesta assurda che porterebbe alla chiusura totale dell’ex Ilva. Da tempo denunciamo una situazione che non è più sostenibile e il pericolo che corrono le migliaia di lavoratori e tutti gli stabilimenti. Non conosciamo ancora nemmeno il piano industriale. Come è possibile conciliare la vendita di Acciaierie d’Italia con tutto questo? Cosa mette il governo sul mercato, la cassa integrazione o un piano industriale credibile e con i giusti investimenti?».
Per il leader della Uilm «questa richiesta di cassa integrazione rappresenta un disastro sociale, ambientale, occupazionale e produttivo. Chiediamo immediatamente una convocazione del tavolo permanente aperto a palazzo Chigi con la presenza della presidente Meloni».
«Visti gli attuali livelli di produzione e la richiesta di confronto che avevamo richiesto da tempo all’azienda rispetto alla cassa integrazione, non ci stupisce l’invio quest’oggi della nuova procedura di cassa da parte di Acciaierie d’Italia, in ritardo anche rispetto ai tempi che avevamo immaginato». Così il segretario nazionale della Fim Valerio D’Alò commenta l’istanza di esame congiunto presentata dall’azienda per l’avvio della nuova cassa integrazione prevista per le aziende in amministrazione straordinaria che interesserà un numero medio di dipendenti fino ad un massimo di 5.200 (di cui 4.400 a Taranto).
«I numeri - prosegue - necessitano quanto prima possibile l'avvio di un confronto con il sindacato, perché abbiamo già posto sia all’azienda che al governo alcune necessità per noi imprescindibili a partire da turnazioni che rispettino leggi e contratti, come pure la salvaguardia e tutela degli impianti e molte delle altre esigenze di carattere produttivo che devono essere discusse con noi».
«Non lasceremo - conclude D’Alò - che la cassa integrazione sia gestita nello stesso stile e modalità della 'gestione Morsellì (l'ex amministratore delegato, ndr.) e come Fim faremo tutto perché ai lavoratori possa essere riconosciuto un ristoro maggiore possibile rispetto alla cassa integrazione».
«Di fronte alla richiesta di cigs per 5.200 lavoratori, distribuiti su tutti i siti siderurgici ex Ilva, con picchi superiori al 50% su Taranto e Genova, non possiamo che dissentire in maniera netta ed inequivocabile. Con questi numeri si chiude, non si rilancia». Lo affermano Francesco Rizzo e Sasha Colautti dell’esecutivo confederale Usb in merito alla richiesta di Cigs presentata da AdI in As.
«Quale tipo di attività - aggiungono - si può portare avanti riducendo ai minimi termini la forza lavoro in attività all’interno degli stabilimenti? Rileviamo una incoerenza gigantesca tra quanto annunciato a Roma meno di un mese fa con la presentazione del piano di ripartenza e rilancio con i numeri presenti nella procedura di cigs».
Secondo Rizzo e Colautti, «partendo da questi numeri e in assenza di garanzia per i lavoratori, sarà complicatissimo raggiungere un accordo al prossimo tavolo di confronto, di cui attendiamo convocazione. Il governo sia pienamente consapevole dell’insostenibile sacrificio al quale sta chiamando ancora una volta i dipendenti dell’acciaieria, e - concludono - ponga rimedio a questa decisione ferale che ci vede fermamente contrari»