TARANTO - Pasquale aveva 65 anni e una vita trascorsa tra le fiamme delle ciminiere dell'ex Ilva. Ha lavorato alle pulizie industriali e alle manutenzioni delle batterie, prima nell'indotto e poi come operaio alle dirette dipendenze della fabbrica quando era gestita dalla famiglia Riva. Nell'inferno d'acciaio è entrato nel 1981 e lì è cresciuto fino al 1999 quando grazie al riconoscimento dell'esposizione all'amianto è andato in pensione. La sua casa al rione Salinella, la moglie, i due figli, i quattro nipoti: il tempo del riposo dopo il sudore e la fatica.
Fino al 2011 quando un dolore alla schiena cambia la storia di un'intera famiglia. La diagnosi è di quelle che non ammettono repliche: carcinoma con metastasi diffuse. Poco più di due mesi dopo Pasquale Raffo, classe 1947, muore. La sua storia è quella di tanti altri operai: il lavoro nell'indotto, l'assunzione alla corte dei Riva, la pensione e la malattia. E la morte. Ed è anche la storia delle famiglie che dal 2017 hanno avviato un'azione civile nei confronti dell'Ilva, nel frattempo fallita e passata in Amministrazione straordinaria sotto la guida di tre commissari.
Sono circa 150 quelle si sono rivolte all'avvocato Filomena D'Addario per cercare giustizia: hanno puntato il dito contro la fabbrica accusandola di essere la causa dei decessi. La professionista tarantina ha chiesto danni che arrivavano in alcuni casi fino a 800mila euro. Gli avvocato di Ilva in As, però, hanno sempre rigettato quelle richieste e nelle primissime udienze delle cause civili hanno presentato un'istanza di transazione: le famiglie hanno accettato di ottenere un quarto di quanto avevano inizialmente preteso e il tribunale di Milano, competente su queste vicende dopo il crac della società dei Riva, ha riconosciuto a tutti il diritto al risarcimento con somme che vanno da un minimo di 5mila a un massimo di 200mila euro. Sono trascorsi anni da quel pronunciamento, ma nessuno di loro ha mai visto un solo centesimo...