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Taranto, far west a Paolo VI: carcere per 39 anni e lavori in una colonia agricola

 
francesco casula

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francesco casula

Taranto, far west a Paolo VI: carcere per 39 anni e lavori in una colonia agricola

Pene più alte di quelle richieste dalla Procura: per i maggiori imputati il giudice Romano ha disposto due anni di lavori in una colonia agricola una volta espiata la pena

Mercoledì 13 Marzo 2024, 13:14

Pene più alte delle richieste della procura. Si è chiuso con un totale di 39 anni anni di carcere il processo con rito abbreviato nei confronti dei quattro imputati coinvolti nell'inchiesta sul «far west» al quartiere Paolo VI che in una giornata contò ben tre sparatorie e un conflitto a fuoco in pieno giorno e nel giro di poche ore.

È stato il giudice Alessandra Romano a mettere la sentenza che ha condannato a 13 anni e 1 mese di reclusione Mario Fagotti e Piero Bisignano, difesi dagli avvocati Pasquale Blasi, Andrea e Salvatore Maggio, a 9 anni e 4 mesi Francesco Russo assistito dall'avvocato Patrizia Boccuni e infine a 3 anni e 4 mesi Angelo De Gennaro.

Il pm Rosalba Lopalco aveva chiesto la condanna a 8 anni per Fagotti, Bisignano e Russo e a 1 anno e 4 mesi, ma per il giudice le richieste erano evidentemente troppo basse rispetto alla gravità delle accuse. Nella sentenza, infatti, oltre a pene alte, il giudice Romano ha sancito «la delinquenza abituale» per Fagotti e Bisignano e per entrambi ha disposto due anni di lavori in una colonia agricola una volta espiata la pena.

Succede tutto l’uno febbraio 2022 quando, dopo una segnalazione di colpi di pistola, i poliziotti arrivano a Paolo VI e bloccano De Gennaro: poco prima aveva tentato di disfarsi di una pistola recuperata poi dagli agenti. Le indagini dei poliziotti, diretti dal vice questore Cosimo Romano e coordinati dal pm Lopalco, ricostruiscono una vicenda che sembra estrapolata da un copione cinematografico.

Tutto era cominciato con le voci che sfregiavano l’onore di un boss detenuto: questioni familiari diventate in breve questione di prestigio criminale da punire col sangue. Il primo a farne le spese fu Francesco Russo, accusato di aver amplificato quelle voci: malmenato da Mario Fagotti, Russo decise di vendicarsi dell’affronto subito e il 1 febbraio si recò davanti al cancello dell’abitazione dell’avversario ed esplose alcuni colpi di pistola. Non contento raggiunse la stazione di servizio Tamoil all’ingresso di Paolo VI, che secondo gli inquirenti è di fatto riconducibile proprio a Fagotti, e sparò altri due colpi. Fagotti con Agostino Bisignano decise di replicare: impugnò le armi e si mise alla ricerca di Russo: si incrociarono all’altezza della statale 172 e aprirono il fuoco, ma persero il controllo dell’auto che si fermò. Bloccarono così la prima auto di passaggio: il conducente li aveva scambiati per poliziotti in borghese, ma poi si accorse dei colpi di pistola che partirono dalla sua auto. Non solo. Con la coda dell’occhio vide che dall’altra parte della strada c’era una Smart e un uomo con in mano una mitraglietta: il giovane conducente lo vide mentre puntava l’arma verso di loro e apriva il fuoco mandando in frantumi il parabrezza. Il malcapitato accelerò fino a quando gli imputati gli dissero di fermarsi per darsi alla fuga. 

Un'inchiesta da anni di piombo, insomma, che ieri è giunta alla sentenza di primo grado.

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