Sono 24 le persone che rischiano di finire a processo dopo il coinvolgimento nell'inchiesta sulle 3mila tonnellate di rifiuti bruciate e interrate, secondo l'Antimafia di Lecce, nelle campagne o nascoste in capannoni del tarantino.
I pubblici ministeri Milto De Nozza della Direzione distrettuale antimafia di Lecce e Francesco Ciardo della Procura ionica, hanno chiesto il rinvio a giudizio per i numerosi imputati al termine dell'inchiesta ribattezzata «Amici per la pelle» e condotta congiuntamente dai carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di Lecce, agli ordini del tenente colonnello Dario Campanella, e dai colleghi della sezione di Polizia giudiziaria della procura di Taranto dopo la segnalazione fatta alla magistratura dal Nucleo di Taranto della Sezione di Vigilanza Ambientale della Regione Puglia.
Per l'accusa si tratta di un'attività portata avanti da un’associazione a delinquere che avrebbe consentito alle aziende che producevano pellami di smaltire rifiuti a costi decisamente più bassi risparmiando centinaia di migliaia di euro all’anno. A giugno scorso furono cinque le persone finite ai domiciliari: si tratta del 40enne di Sava Rocco Bevilacqua, del 51enne di Francavilla Fontana Nicola Canovari, del 70enne di Palagiano Antonio Marra, del 36enne di Palagiano Mario Schiavone e infine del 64enne di Palagiello Massimo Giannulli.
Le attività investigative, per l'accusa, hanno individuato un’organizzazione guidata da un uomo deceduto a luglio 2022: era lui che gestiva in prima persona i rapporti con le aziende di produzione dei rifiuti tra la Basilicata e le province di Taranto e Bari e dalle quali riscuoteva la somma di 15 centesimi per ogni chilogrammo di pelle ritirato. Una somma decisamente più bassa dei 40 centesimi che un'azienda spende per smaltire i rifiuti a norma di legge.
L’uomo, secondo i pm, «individuava, organizzava e predisponeva la manodopera e i mezzi strumentali (furgoni, camion, escavatori) necessari - si legge negli atti dell’inchiesta - al ritiro dei rifiuti e al loro successivo illecito smaltimento che avveniva mediante abbandono sia su aree pubbliche (come avvenuto a Laterza, ndr) che all'interno di 4 capannoni privati» nella zona di Palagiano. Gli incassi venivano poi divisi con gli indagati ritenuti organici all'associazione.
Complessivamente sono 26 le persone indagate. Nei guai infatti sono finiti anche alcuni degli imprenditori che avrebbero commissionato al gruppo le operazioni: per otto imprenditori sono stati infatti disposti dal gip di Lecce Alessandra Sermarini, sequestri di somme che arrivano in totale 100mila euro: denaro che le imprese avrebbero risparmiato grazie all’attività illegale. Sotto chiave sono finiti inoltre 5 capannoni industriali, un’area agricola dove i rifiuti sarebbero stati illecitamente smaltiti e 6 mezzi utilizzati per il trasporto.