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Taranto, tentato omicidio e «far west»: la pistola usata è la stessa

 
Francesco Casula

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Francesco Casula

Taranto polizia

Conferma dalle analisi, in manette il 53enne Solfrizzi

Venerdì 27 Ottobre 2023, 14:36

TARANTO - C'è un'unica arma che collega diversi fatti di sangue avvenuti a Taranto. Una pistola semiautomatica Beretta modello 84FS rubata nel comando della Polizia Locale di Triggiano e utilizzata sia nel tentato omicidio di Salvatore Albano nella notte tra l'8 e il 9 maggio scorsi a Paolo VI sia nel far west che il 1 febbraio 2022 seminò il panico nello stesso quartiere quando, in poche ore, si susseguirono tre sparatorie e un conflitto a fuoco.

È la scoperta compiuta dai poliziotti della Squadra Mobile di Taranto che il 13 maggio scorso hanno ritrovato l'arma in un deposito di via Icco, un locale utilizzato esclusivamente dal 53enne Rino Solfrizzi finito ieri mattina in carcere: nei suoi confronti l'accusa al momento è di ricettazione e detenzione di arma da sparo, ma non di essere coinvolti nei due gravi fatti di sangue. Le analisi compiute dal Gabinetto Interregionale della Polizia Scientifica hanno accertato che non vi sono impronte riconducibili al 53enne, ma hanno però appurato che la matricola è la stessa dell'arma rubata a Triggiano il 13 gennaio scorso e che c'è una compatibilità tra i proiettili della pistola e alcuni dei bossoli ritrovati dagli investigatori il 9 maggio scorso quando un sicario sconosciuto apri il fuoco contro il 48enne Albano: un unico colpo sparato frontalmente a distanza ravvicinata per punire uno sgarro maturato probabilmente per futili contrasti nel mondo degli stupefacenti. Una sorta di avvertimento per Albano che aveva già alle spalle diversi anni di carcere per reati connessi allo spaccio di droga.

E una compatibilità è stata individuata dagli esperti della Polizia Scientifica con i bossoli ritrovati a febbraio 2022 dopo il far west che si scatenò a Paolo VI: un altro regolamento di conti, ma non per il controllo dello smercio di stupefacenti, ma per le voci che sfregiavano l’onore di un boss detenuto e che dalle strade del quartiere erano arrivate dentro le mura delle carceri. Questioni familiari diventate in breve questione di prestigio criminale avevano da punire col sangue. Il primo a farne le spese era stato Francesco Russo, accusato di aver amplificato quelle voci: malmenato da Mario Fagotti, Russo decise di vendicarsi dell’affronto subito e il 1 febbraio si recò davanti al cancello dell’abitazione dell’avversario ed esplose alcuni colpi di pistola poi si presentò dinanzi alla stazione di servizio Tamoil all’ingresso di Paolo VI, che secondo gli inquirenti è di fatto riconducibile proprio a Fagotti, e sparò altri due colpi che raggiunsero il soffitto.

Fagotti, però, non rimase a guardare: con Agostino Bisignano impugnò immediatamente le armi, salì a bordo dell’auto e si mise alla ricerca di Russo. Lo incrociarono a bordo di una Smart all’altezza della statale 172 e aprirono il fuoco, ma mentre lo inseguivano persero il controllo dell’auto che finì sul guardrail e per via dei danni si fermò. Il commando bloccò così la prima auto di passaggio ordinando a un giovane estraneo ai fatti di seguire la Smart da cui partì una nuova raffica di colpi che solo per miracolo non trafisse nessuno.

Insomma storie apparentemente diverse potrebbero avere un unico filo conduttore: ed è su questo che ora i poliziotti, guidati dal vice questore Cosimo Romano e coordinati dal pm Francesco Sansobrino, stanno cercando di fare luce. Partendo da quell'arma, ma non solo. Solfrizzi, intanto, questa mattina accompagnato dal suo difensore, l’avvocato Pasquale Blasi, dovrà comparire dinanzi al gip Caroli per l’interrogatorio di garanzia.

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