TARANTO - La donna fenice dalle ali spiegate. Elegante e sinuosa. Maestoso emblema di rinascita. È il tatuaggio che si è fatta incidere sulla schiena. Sintesi di una storia di coraggio e di riscatto, generato dalla forza di ribellarsi alle violenze.
«Sono risorta dalle ceneri, come una fenice. Se ce l’ho fatta io, può farcela chiunque», assicura, a voce alta, Persi Hitchkova, bulgara, istruttrice di fitness, mental coach, campionessa di equitazione e di nuoto. Madre, lavoratrice instancabile, nata a Sofia, 54 anni fa, in una famiglia di sportivi, da 15 anni a Massafra. «Lo sport è stato il mio primo nutrimento, fin dall’infanzia. Uno stop a 19 anni con un figlio in arrivo dal mio fidanzato, che sposo, e a 20 anni sono mamma di Dayana, oggi 34enne, insegnante a Londra, nella scuola dell’infanzia».
Dopo due anni, la separazione dal marito. «Eravamo troppo piccoli. Abbiamo vissuto 45 anni sotto il comunismo, non potevo avere un figlio fuori dal matrimonio, l’ho dovuto fare per obbedire alle leggi, ma il mio obiettivo era proseguire gli studi all’università dello sport e aprire la mia palestra». Una vacanza a Cipro, nell’estate del 2000, cambia però il suo destino. «Ero andata con mia figlia. Lì incontro un uomo più piccolo di me di quattro anni. Lavorava al circo. Allevava dei cani boxer. Io, da grande animalista, vedevo quanta cura aveva per loro. Scatta la scintilla. Su sua proposta, decido di trasferirmi da lui, lasciando mia figlia in Bulgaria, da mia madre, perché non volevo farle fare la vita da circense».
Una scelta che segnerà l’inizio di un passato difficile, travagliato, doloroso. «Sono sempre stata una donna in formissima ed esuberante, anche nel modo di vestire. Ho iniziato a lavorare al circo, dovendomi difendere da subito da una gelosia ossessiva, poi sfociata in violenza. Sono arrivate le vessazioni e le umiliazioni, ma da sportiva prendevo tutto come stimolo a migliorare. Cosicché lui diventava sempre più violento. Voleva piegarmi senza riuscirci.
Resto incinta, pensando che l’arrivo di un figlio avrebbe cambiato le cose, ma è tutto solo peggiorato. Una gravidanza terribile. Ho partorito Sean (che sta per laurearsi in Ingegneria aerospaziale al Politecnico di Torino) a Cesena, nel 2001. Ero sola. Dopo pochi giorni, ho ripreso a lavorare duramente, per non diventare matta in quell’inferno durato sette anni».
La svolta, maturata dalla consapevolezza di potercela fare, arriva nel 2005. «In Sicilia, organizzo uno spettacolo per le scuole riuscendo a portare oltre mille ragazzi al circo in una sola mattinata. Un’iniezione di orgoglio e di energia. Avevo bisogno di vedere una cosa fatta da me che funzionasse. Quel giorno inizio a detestare il mio carnefice per tutto il male fatto a me e a mio figlio. Aveva distrutto anche i miei documenti per evitare che fuggissi. Cosa a cui non ho mai pensato, perché un campione non scappa, affronta tutto con le unghie e con i denti, finché non vince. Fuggire è da vigliacchi. Ho cominciato a difendermi con le denunce alle forze dell’ordine, ma ogni richiesta di aiuto è stata vana. Fino a quando ho iniziato ad accusare attacchi di panico».
L’ingresso nell’edificio che ospitava un laboratorio analisi, cattura la sua attenzione e la induce a riflettere. «Giunta lì, leggo una targa con su scritto “studio legale”. Mi dico: “Adesso o mai più”. Racconto la mia storia a un avvocato, che mi informa dei miei diritti, che non conoscevo. In quel momento decido di riprendere ad allenarmi col fitness e pianificare la mia rinascita. Passo dopo passo». Fino a quel 7 maggio 2007 che segna l’arrivo a Massafra, per raggiungere una donna speciale disposta ad ospitarla. «A lui dico che vado via, perché ho bisogno di cure, ma capisce che non sarei più tornata».
«Parto con mio figlio, due borsoni di vestiti e una scatola di giocattoli. Era la mia unica occasione. A Massafra mi sono sentita finalmente libera e amata. Tanta gente mi ha accolta ed aiutata. Ho iniziato a lavorare come istruttrice nelle palestre. Fino al 2017, quando ho dato vita ad un centro sportivo tutto al femminile, “Poenix”, dove insegno fitness motivante. Perché non ho mai ritenuto lo sport solo ore di allenamento. Ha segnato tutta la mia storia, consentendomi di tirar fuori una grande forza, anche quando pensavo di non averne. Lo sport mi ha salvato la vita. Curando il benessere fisico ed emotivo, cerco di spronare le donne a volersi bene, a ribellarsi ai soprusi, ad essere leader di sé stesse».
Da una giornata dedicata alle donne nel carcere femminile di Taranto, con l’avvocato Serena Gentile, è nato poi il progetto “La Donna Fenice”, diventato un movimento. «È una rete di donne pronte ad aiutarsi fra loro, perché nessuna possa rimanere sola nelle difficoltà. Questa, oggi, è la mia missione: esserci per chiunque abbia bisogno, perché nel mio periodo più buio, per me, non c’è mai stato nessuno».