TARANTO - Sono 12 gli imputati nell’inchiesta per la bancarotta fraudolenta che ha travolto la famiglia De Gennaro. La procura di Taranto ha infatti chiesto il rinvio a giudizio per Daniele Giulio, Carmine e Gerardo De Gennaro, per presunti prestanome tra i quali Giuseppe Monteleone e Annamaria Cacciapaglia e per il commercialista ed ex consigliere comunale di Bari, Donato Radogna: per loro e per altri quattro imputati, il pm Lucia Isceri, ha contestato il reato di associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta, evasione fiscale e falso in bilancio. L’inchiesta era partita parte dal fallimento avvenuto a Taranto della «Mf Trading», nel 2011, una società del gruppo che prima si chiamava «Dinvest» e che sarebbe stata svuotata a favore della «Dec» con una operazione «pur astrattamente configurabile come lecita» che aveva però lasciato in capo alla Mf (amministrata a quel punto da un prestanome) soltanto i debiti: il ricavato dell’operazione, pari a 4,2 milioni, sarebbe finito «nelle casse della famiglia», insieme agli immobili e ai terreni. Un’operazione che per l’accusa, gli imputati, avrebbero portato a termine manipolando «sistematicamente» le scritture contabili e fiscali, simulando il dissesto della società anche tramite azioni giudiziarie «pretestuose»: tutto per allontanando dalla famiglia le responsabilità. «In particolare, i Degennaro – scrive negli atti il pm Isceri – rivestivano il ruolo di promotori e capi del sodalizio e amministratori di fatto, stabilivano le strategie decisionali in ordine a quali società mantenere attive e quali trasformare in scatole ove concentrare debiti e orchestravano i rapporti tra le diverse società, decidendo anche operazioni gestionali e artifici contabili e finanziari finalizzati a perseguire gli scopi associativi».
Nell’inchiesta erano inizialmente coinvolti anche altri due membri della famiglia: Vito Michele De Gennaro, recentemente scomparso, e Gaetano Pasquale De Gennaro che nell’udienza di ieri è stato dichiarato incapace di stare in giudizio dopo la perizia disposta dal tribunale. Nel procedimento penale si è costituita in giudizio anche la curatela fallimentare che tramite l’avvocato Raffaele Errico, ha chiesto un maxi risarcimento da 70 milioni di euro. Nel giugno 2019, sotto sequestro, erano finiti beni immobili, quote societarie e denaro per un ammontare di 27 milioni di euro. La procura, basandosi su una consulenza tecnica e sulle indagini della Finanza, aveva anche ricostruito il tentativo di intestare a un prestanome le quote della «Dec» (la società in passato al centro delle indagini di Bari sugli appalti), così tentando di far sparire un patrimonio da 20 milioni di euro.