Siamo ancora immersi nello sconcerto e avvolti dal lutto, ma chi ha ruoli di responsabilità e di governo non può fermarsi a lungo e non può non compiere, proprio in questi giorni, una riflessione ancora più asciutta su chi siamo e dove vogliamo andare.
Ho ascoltato molte dichiarazioni dalla sera infausta del 10 luglio, ho visto la solita corsa scomposta e volgare ad occupare, da tifosi, le opposte curve della chiusura dello stabilimento o della difesa dell’industria, per quello che rappresenta per il sistema Paese. Ho pensato che, come sempre, è facile parlare dalla tranquillità e dall’ordinarietà di chi Taranto non la vive tutti i giorni.
Ma qui ci siamo noi e la partita la possiamo giocare solo noi.
Inspiegabilmente unico amministratore locale, ho partecipato al tavolo di venerdì scorso che il Prefetto di Taranto ha prontamente convocato, con l’intento di mediare tra le parti e scongiurare guai ancora più seri per i lavoratori dello stabilimento e per i cittadini. Ma anche lì, ho visto lo smarrimento e la stanchezza del sindacato, soprattutto ho visto una azienda che non ha alcuna contezza ancora di dove sia atterrata, di cosa sia prioritario fare, di quale distanza ormai quella fabbrica abbia acquisito dalla città, di quale rispetto dovrebbe portare a quel sindacato.
Dove sono gli interventi in manutenzione e i miliardi sbandierati per l’ambiente? Perché si va avanti con tanta incertezza? Dove è la ricchezza che un nuovo gestore avrebbe da subito dovuto iniettare nel mondo del lavoro e delle imprese ioniche? Dove sono le compensazioni alla città? Perché tanta resistenza alla nostra richiesta di riesame dell’Aia? Perché si trascorrono settimane a litigare dell’immunità penale e il Governo non mette in campo, invece, misure legislative per Taranto, enormi quanto sembra enorme l’impatto della produzione dell’ex Ilva sull’economia del nord Italia? E perché mai senza un gestore dovremmo rischiare un’altra Bagnoli? Non mi risulta che la Costituzione stabilisca che lo Stato è tale solo se fa guadagni o ha tornaconti, il suo impegno per i cittadini prescinde da tutto.
No, qui vale sempre lo stesso principio: dividi e confondi i tarantini, sborsa il meno possibile e tira a campare, mostra qualche lacrima di coccodrillo e alza la voce ad arte davanti all’ennesimo incidente. Questo modello è ormai fallito, la storia lentamente sta già cambiando il nostro dna, la nostra voglia di vivere, di lavorare in altri settori. E questo processo non lo fermerà alcun orientamento politico.
Aspetto di vedere se arrivi una presa di coscienza seria ed un forte cambio di passo dall’odierno incontro al Mise, ma ad oggi, vista dalle gru del porto, questa ArcelorMittal non è in grado (e chissà se lo vuole per davvero) di fare altro che seguire quel vecchio modello di rapina e menzogna. Produrremo sempre meno acciaio ed a condizioni sempre meno vantaggiose, dal punto di vista economico ma soprattutto della sicurezza e della qualità della vita di lavoratori e residenti. Anche la progressiva maggiore intensità della sorveglianza sanitaria e qualche buona tecnologia non arresteranno il declino.
Ormai la fabbrica, almeno in quella forma, è un corpo morente, estraneo a questa terra, non c’è più una sola ragione per i tarantini per cui valga la pena stringere i denti. E per assurdo che sia, è questa un’analisi fondata sull’economia, non solo sull’ambiente o la salute. Con razionalità e lealtà ce la abbiamo messa tutta, siamo stati ripagati con moneta mediocre e scadente prospettiva. Credo che ci stia arrivando anche il sindacato, almeno quella parte larga di esso che non si muove a comando del capo ultrà di turno.
Certo, un ente locale può e deve agire nel rispetto delle norme, salvaguardando gli interessi pubblici prevalenti, nel contempo infondendo fiducia nella comunità, ma se questa idea è corretta e il conto alla rovescia del gigante d’acciaio è già iniziato, serve che Governo e Regione mettano subito in campo gli strumenti necessari per sostenere i lavoratori e le loro famiglie, per portare a termine le bonifiche e almeno ridimensionare quello stabilimento, proprio a partire dalle concessioni portuali e dall’area a caldo.
Basta tavoli, basta chiacchiere, dateci leggi e coperture finanziarie, il resto è puro esercizio teorico, quando non elettorale. Il resto lo farà Taranto con la sua energia e la sua intelligenza. Il cosiddetto sistema Paese batta cassa altrove, qui siamo ormai ai saldi.