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Puglia, addio siringa ora c’è la «pista»: la cocaina batte l’eroina

 
Rosanna Volpe

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Rosanna Volpe

Puglia, addio siringa ora c’è la «pista»: la cocaina batte l’eroina

Viaggio nella comunità Cipparoli, dove si lotta per uscire dal tunnel: la struttura da decenni prova a dare una seconda opportunità a vite spezzate

Domenica 16 Aprile 2023, 09:00

Gli occhi si inumidiscono al ricordo di Matteo. Anzi, «il compagno» Matteo. ucciso dalla droga a 25 anni. Un ragazzo solare, pieno di vita. Ma il richiamo delle sostanze è stato più forte. Il bisogno di compensare la sua storia traumatica con l’eroina, lo ha ucciso. La stessa che ha ucciso tanti ragazzi.

Negli anni 80-90 con una siringa infilzata nel braccio. Oggi con una droga subdola che ha invaso il mercato, la cocaina. E, allora, nessuno dimentica Carlo, Francesca, Antonio. Tutti nomi di fantasia che rappresentano le storie dei tanti che ci hanno provato, ma non ce l’hanno fatta.

Ci sono poi anche storie con un epilogo diverso e che riempiono il cuore. Come quella di Sofia che è arrivata in comunità con in grembo una vita che non voleva. Oggi la piccolina è tra le braccia della sua mamma in un’altra città dove ha ricominciato a vivere. Oltre il cancello della Comunità terapeutica «Lorusso Cipparoli», (ente accreditato della Regione Puglia), lungo la strada che accompagna da Santo Spirito a Giovinazzo, ci sono uomini e donne che ci stanno provando. Un cancello sempre aperto quello della comunità, accolta nel 2018 tra i servizi della Fondazione Opera Santi Medici Cosma e Damiano di Bitonto, che da 40 anni prova a dare una seconda opportunità a vite fragili e spezzate.

«I nostri ospiti - spiega il responsabile organizzativo della comunità, Pino Mele – sono per quasi metà donne e hanno in prevalenza dai 30 ai 40 anni. Ci sono pochi giovani aggiunge perché all’inizio dell’esperienza tossicomanica c’è ancora una forma di “innamoramento” verso la sostanza e il consumatore ha l’idea di poterne controllare l’uso. Sono cambiate tante cose nell’assunzione della droga in questi anni».

«L’eroina – racconta - era la droga della protesta, la cocaina è una droga prestazionale. Mentre l’eroina induceva nei suoi consumatori, uno stato di dipendenza evidente sia dal punto di vista clinico che della visibilità sociale, il consumatore di cocaina è un soggetto che sfugge dall’essere facilmente individuato. Ma la cocaina è una droga subdola: il suo utilizzo prolungato e frequente crea una forte dipendenza fisica e psichica che può manifestarsi con crisi di astinenza e sintomi come vanno dall’irritabilità alla paranoia. L’assuntore di cocaina comprende di esserne dipendente solo col verificarsi di situazioni estreme come la rottura delle relazioni familiari, il crollo economico, la perdita del lavoro e delle relazioni sociali: solo allora, quando i costi superano i benefici, arriva a formulare una richiesta di aiuto».

«Chi arriva qui – spiega il responsabile sanitario della comunità, Grazia Schino, psicologa psicoterapeuta - segue un programma personalizzato. Un lavoro terapeutico-riabilitativo che si fa sul singolo individuo e si allarga anche alla famiglia di origine. Non sarebbe possibile non considerare il contesto in cui l’individuo ha vissuto, spesso connotato da esperienze traumatiche che si trasmettono a livello intergenerazionale. Prendersi cura di queste persone, portatrici di una importante sofferenza psichica, significa inevitabilmente prestare aiuto anche alle loro famiglie: pertanto genitori e figli vanno sostenuti insieme. Sempre più frequentemente, poi, da noi arrivano utenti che hanno una loro famiglia. Hanno bambini che non possono e non devono rivivere i traumi come quelli vissuti dai loro genitori: ecco perché facciamo in modo che restino sempre in contatto».

Le fasi del percorso terapeutico sono tre e passano dall’accoglienza, alla terapia residenziale per concludersi poi con il reinserimento socio lavorativo. Oggi il percorso terapeutico difficilmente supera i diciotto mesi. Purtroppo, alle volte non basta: alcuni ce la fanno, ma altri tornano in comunità.

«In qualche caso - interviene Mele - dobbiamo fare i conti con i figli di ex utenti. La droga ha avvelenato anche loro ed è doloroso quando, a dover essere aiutati, sono persone a cui le sostanze hanno già tolto tanto. Spesso i loro fallimenti diventano anche i nostri. E allora, pur rimanendo vicini, bisogna imparare a regolare la giusta distanza, senza arrendersi alle frustrazioni di fronte alle quali inevitabilmente questo lavoro ci pone».

Il tempo nella comunità «Lorusso Cipparoli» scorre lento. Ci sono le terapie da seguire, ma ci sono da curare gli spazi in cui si vive: c’è da pulire e da cucinare. C’è un orto da coltivare e piccoli animali da cortile da accudire. Ci sono regole a cui attenersi non dimenticando mai, che quel cancello - che affaccia sulla statale 16 - è sempre aperto. Per quanti vogliano provare a liberarsi dal «demone» e anche - nei casi peggiori – per quanti, a quel demone, non sanno rinunciare.

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