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Amore e crisi ai tempi
del «Made in Italy»

 
made in Italy

Accorsi-Smutniak, tra sorrisi e commozione nel nuovo Ligabue

Venerdì 26 Gennaio 2018, 16:47

MADE IN ITALY di Luciano Ligabue. Interpreti e personaggi principali: Stefano Accorsi (Riko), Kasia Smutniak (Sara), Fausto Maria Sciarappa (Carnevale), Walter Leonardi (Max), Filippo Dini (Matteo). Drammatico, Italia, 2018. Durata: 104 minuti

di OSCAR IARUSSI

Può apparire bizzarro che l’amor loci sia custodito più dagli artisti, tradizionalmente «apolidi» per statuto, che dai cittadini. Ma è quello che sta accadendo, a valle di una slavina di disamore e di discredito che negli ultimi vent’anni ha investito l’idea stessa del Paese, vagheggiando il separatismo settentrionale o le piccole patrie subalpine con i riflessi di xenofobia oggi più evidenti che mai. Certo, il patriottismo di un cantautore-narratore-cineasta qual è il cinquantasettenne Luciano Ligabue non si esprime con un alzabandiera che suonerebbe stonato o frusto, bensì a modo suo: sanguigno e un po’ vitellonesco, ironico ancorché non privo di echi struggenti (siamo pur sempre nell’Emilia «verdiana»), proletario e ribelle (siamo pur sempre nell’Emilia rossa, a Reggio e provincia).

Il nuovo film del Liga, Made in Italy, in questo senso non è un mero prosieguo di Radiofreccia (1998) e di Da zero a dieci (2001), il fortunatissimo esordio da regista presentato a Venezia e la sua opera seconda, entrambi prodotti dalla Fandango del «nostro» Domenico Procacci, artefice anche di Made in Italy (nel finale lo si intravede intento a giocare con il figlioletto avuto da Kasia Smutniak). Anzi, c’è una differenza non da poco: vent’anni fa la struttura del racconto era retrospettiva, diciamo una sorta di amarcord giovanilistico dei Settanta, mentre stavolta Ligabue adotta la «presa diretta» da un’Italia incattivita e immiserita, inquieta e tuttavia non doma ai tempi della crisi. Del resto, è questa la cifra di volta drammatica o agrodolce, cara a Procacci, produttore nell’ultimo decennio (coincidente con l’arco della crisi) di opere diverse, ma apparentate dalla volontà di non nascondere o negare il malessere italiano (Gomorra di Garrone, Caos calmo di Grimaldi, Diaz e Sole cuore amore di Vicari, Smetto quando voglio di Sibilia...).

Made in Italy è davvero un atto d’amore verso l’Italia, che echeggia e sceneggia i brani dell’omonimo album del musicista di Correggio pubblicato a fine 2016 e alterna situazioni ilari a vicende tragiche, suggellate dal celebre passo da La luna e i falò di Cesare Pavese: «Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti».

Sicché, «fuori e dentro il borgo», per dirla con lo stesso Ligabue, se ne vedono di cose che noi umani/disumani... Operai licenziati dopo trent’anni di lavoro in fabbrica, coppie sfasciate, figli allo sbando. Un diverbio in discoteca per una ragazza si conclude con una pistola puntata alla tempia del protagonista Riko (Stefano Accorsi, era Freccia nel ’98). Quest’ultimo all’inizio sbircia il messaggino appena giunto sul display dello smartphone della moglie Sara (appunto Kasia Smutniak), in una situazione un po’ alla «perfetti sconosciuti» che riserva la prima delle numerose battute del film. Lei: «Tu non guardi nel mio telefonino, hai capito?!» – Lui: «Ma che dici? Il telefonino era lì sul tavolo, lui guardava me».

Riko è un piccolo borghese proletarizzato che lavora a insaccare carne di maiale, Sara fa la parrucchiera. Hanno un figlio alle soglie dell’università e ne hanno perso un altro, nato prematuro. Vivono ancora nella grande e comoda casa avita del padre di lui (senza memoria, in un ospizio), ma i soldi sono sempre meno. Si tradiscono a vicenda eppure sono circondati dall’affetto di un gruppetto di amici (clan ristretto alla Ozpetek). Riko è un lavoratore vecchio stampo ed è un rockettaro fuori tempo massimo, soccorre i tossici, piace alle donne, partecipa a un corteo romano, non si arrende mai nonostante tutto il suo mondo sia in declino. Un tramonto acido che rischia di travolgerlo. Finché qualcosa non scatta, riscattandolo...

Non diciamo altro, se non che il finale sorprende e commuove. Accorsi e Smutniak sono assai bravi nel restituire continuità emotiva nell’andamento rapsodico del film e Ligabue, nonostante la regia non sia memorabile, sul palco come sul set sa toccare, eccome, le corde dell’Italia d’oggi.

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