CHIAMAMI COL TUO NOME (CALL ME BY YOUR NAME) di Luca Guadagnino, dall’omonimo romanzo di André Aciman (in Italia pubblicato da Guanda). Interpreti e personaggi principali: Timothée Chalamet (Elio Perlman), Armie Hammer (Oliver), Michael Stuhlbarg (signor Perlman), Amira Casar (Annella Perlman), Esther Garrel (Marzia). Drammatico, Italia-Francia-USA-Brasile, 2017. Durata: 132 minuti
di OSCAR IARUSSI
Ha ragione Luca Guadagnino: Chiamami col tuo nome è un film profondamente, intimamente italiano, nonostante il cast internazionale. E la causa non sta tanto nella produzione cui ha contribuito il Mibact, ma nell’adesione al paesaggio - Crema e dintorni in Lombardia - e a un umanesimo che sarebbe difficile riscontrare altrove (tra l’altro, è la prima volta che ci capita di leggere, nei titoli di coda, della collaborazione di un antropologo culturale!). C’è un sentore epicureo forse memore del De rerum natura di Lucrezio nell’ordito del film sceneggiato dal grande regista americano James Ivory. Vige una sensualità mediterranea e al tempo stesso è difficile non pensare alle biciclette e agli ozi prima delle leggi razziali dei Finzi-Contini di Bassani (e De Sica). Mentre si cita la poesia di Antonia Pozzi... E naturalmente c’è lo stupore della «prima volta» in amore di Bernardo Bertolucci, da Novecento a Io ballo da sola, da The Dreamers a Io e te.
Ricordiamo il palermitano e cosmopolita Guadagnino (47 anni, madre algerina, cresciuto in Etiopia), esordiente al festival di Taormina nel 1997. Presentò il cortometraggio Qui, una coppia in una stanza con una scena di sesso orale, omaggio esplicito a Ultimo tango a Parigi e a Bertolucci, cui lo stesso Guadagnino e il suo sodale e montatore di fiducia, il barese Walter Fasano, nel 2013 hanno dedicato un tributo documentario.
Chiamami col tuo nome è candidato a quattro premi Oscar. Figura tra i magnifici nove in lizza per il miglior film (un italiano mancava dal 1999, La vita è bella di Benigni), e concorre per l’attore protagonista (Timothée Chalamet), per la sceneggiatura non originale adattata appunto da Ivory, e per la canzone originale (Sufjan Stevens - Mistery of love ). Vedremo come andrà nella cerimonia del prossimo 4 marzo. Intanto il film è da ieri in sala e consigliamo di vederlo.
La trama. Estate 1983, Nord Italia, il diciassettenne americano Elio Perlman (Chalamet, appunto) vive nella villa di famiglia del XVII secolo, tra buone letture e svogliate esecuzioni al pianoforte, amoreggiando con la coetanea Marzia (l’interpreta la francesina Esther Garrel, figlia del regista Philippe Garrel e sorella del bel tenebroso Louis, marito di Laetitia Casta). Elio ha un rapporto autentico con i genitori: il padre antichista e docente universitario, la madre traduttrice. La cultura non gli manca, ma «il cuore conosce ragioni che la ragione non comprende», o non le conosce e le cerca. Il ragazzo le troverà nel ventiquattrenne Oliver (Armie Hammer), affascinante studente del New England, ebreo come i Perlman, ospite estivo del padre di Elio.
Dopo qualche scaramuccia, Elio e Oliver scopriranno insieme la forza del desiderio che li trasformerà per sempre. Una passione omosessuale, senza perbenismo né sfrontatezza. Essa corrisponde alla forma della giovinezza e a un segreto impeto naturale evocato dalla macchina da presa di Guadagnino: mobilissima, inquadra i corpi indolenti, e, subito dopo, uno stormire di frasche, un tuffo nel lago o nel fontanone della villa, e i frutti (albicocche, pesche) che giocano un ruolo erotico.
Sullo sfondo, il Belpaese del 1983, che oggi può apparire quasi «archeologico»: le piccole stazioni ferroviarie ancora aperte, i gettoni telefonici, le insegne dei bar di provincia, le strade sterrate lungo i canali, Craxi e il pentapartito, e Beppe Grillo a sfottere i socialisti in Tv. La spensieratezza di un’altra epoca e la luce di sempre che connota l’Italia. Se solo riuscissimo a coglierne la bellezza mai cheta, sempre sottilmente inquietante... Un’estate di amore e di inevitabile sofferenza come un privilegio che non tocca a chiunque, dirà il professor Perlman a Elio nel sottofinale. Padri e figli che si parlano, una perla.