Sabato 06 Settembre 2025 | 12:22

«Il Ventennio», la stand-up di Pietro Sparacino arriva in Puglia per raccontare gli ultimi due decenni

 
Bianca Chiriatti

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Bianca Chiriatti

«Il Ventennio», la stand-up di Pietro Sparacino arriva in Puglia per raccontare gli ultimi due decenni

Uno spettacolo comico, sincero e coinvolgente che farà tappa a Terlizzi, Lecce, Bari, Francavilla Fontana, Taranto: «Non è vero che oggi non si può più dire niente, sono cambiati i tempi e le regole, è più stimolante»

Lunedì 04 Marzo 2024, 12:13

Farà tappa per ben cinque date in Puglia (Terlizzi, Lecce, Bari, Francavilla Fontana, Taranto) il nuovo tour dello stand-up comedian siciliano, ormai romano d’adozione, Pietro Sparacino, intitolato «Il Ventennio». Uno spettacolo a cuore aperto, prodotto da The Comedy Club, che, ripercorrendo la carriera dell'artista racconta quanto è cambiato lui, ma soprattutto quanto è cambiata la comicità, le parole e l’uso che se ne fa, e la società in cui viviamo.

Uno spettacolo sincero, coinvolgente e ironico che, grazie a uno stile inconfondibile e a un’ironia ormai ben definita, racconta queste ultime due decadi da un punto di vista personale ma condiviso: «Quando ho cominciato, 20 anni fa, non pensavo che sarebbe durato così a lungo questo viaggio. E in questi 20 anni è cambiato tutto da quando ho iniziato: comunicazione, linguaggio, comicità. Mi piace in questo spettacolo ripercorrere ciò che è stato e celebrare i fallimenti; il pretesto per parlare di questi ultimi vent’anni, miei e vostri. E racconto di figli, genitori, Pillon e Gabriele Cirilli, di Padre Pio e di come e quando stavo per diventare prete…». Info e biglietti su www.thecomedyclub.it 

Qual è il primissimo ricordo di questi vent'anni, quello che li sintetizza tutti?

«La prima volta su un palco con un monologo e non con un personaggio in costume. Era il 2004, avevo 22 anni e facevo una serata insieme ad altri colleghi tra cui Filippo Giardina (fondatore di Satiriasi, 2009) che da tempo mi esortava a lasciare i costumi e indossare i miei abiti. È stata un’esperienza particolare e del tutto nuova emotivamente. Presentarsi al pubblico nei panni di un personaggio ti protegge dai fallimenti, se non funziona ciò che fai sul palco è il personaggio che ha fallito. Se ti presenti invece da "persona", l'eventuale fallimento è tuo, ma allo stesso tempo l'energia e l'impatto emotivo per me sono stati determinanti per abbandonare il mondo dei personaggi e dedicarmi ai monologhi».
Se potesse dire qualcosa al Pietro di vent'anni fa, cosa gli direbbe?
«La prima cosa sarebbe senz'altro: Leicester campione d'Inghilterra 2015/2016. Giocala Pietro!!! A parte gli scherzi...forse non gli direi niente, o al massimo di rifare tutto quello che ho fatto. Non perché io abbia sempre fatto le scelte giuste, ma proprio per ripetere tutto di questi vent'anni, soprattutto gli errori. Perché se oggi sono ancora in tour con l'ennesimo spettacolo, è soprattutto grazie ai fallimenti di questi anni, agli incontri discutibili e alle scelte sbagliate. E non lo dico perché fa figo dirlo ma perché è stato veramente così e ne parlo profusamente nell’ultimo spettacolo».
Oggy la stand-up comedy sta vivendo un momento felice, specialmente in Italia: secondo lei dipende anche dalla voglia che gli italiani hanno di "evadere", anche solo con la testa, dopo la pandemia?
«Io ho vissuto l'evoluzione della stand up, e senza dubbio dal 2009, anno di nascita di Satiriasi, il primo progetto strutturato di stand-up in Italia, è cambiato praticamente tutto. Il "vecchio" cabaret ha lasciato spazio a un genere di comicità più "vero" e diretto e soprattutto, dopo l'esplosione dei social, sono arrivati i giovani, sia sul palco che tra gli spettatori. Non so se sia la voglia di evasione o semplicemente il desiderio di una comicità più diretta, fatto sta che l'arrivo dei giovani ha cambiato dinamica ed evoluzione della scena; al netto del fatto che questi maledetti giovani provano a rubarmi il lavoro, sono stati una novità».
A livello di comicità e satira chi sono stati i suoi miti ispiratori?
«Non ho mai avuto un solo comico al quale mi sono ispirato, piuttosto ho sempre cercato di rubare tutto quello che si può rubare dai colleghi. Tutto tranne le battute. Mica sono Luttazzi. Ho avuto il piacere di lavorare con tantissimi professionisti nei primi anni di carriera. Facevo le aperture ai big dei primi anni 2000: Checco Zalone, Giovanni Cacioppo, Dado, Franco Neri, Katia e Valeria e decine di altri nomi. Nonostante la differenza di approccio alla comicità con molti di loro, tutte queste esperienze sono state ore e ore di stage, di apprendimento silenzioso di un mestiere. Perché lo so che si fa fatica ancora a realizzarlo ma quello del comico è un lavoro. Con tutti i crismi degli altri lavori. E i nomi che mi piace citare sempre perché sono stati determinanti nel mio percorso, sono stati i compagni di viaggio di Satiriasi: Filippo Giardina, Giorgio Montanini, Velia Lalli, Francesco De Carlo, Mauro Fratini, Saverio Raimondo e Daniele Fabbri».
Ritornando ai vent'anni, il linguaggio della comicità come è cambiato, visto che oggi soprattutto sui social si rischia spesso di essere fraintesi: si può ancora parlare di tutto?
«Io sono fermamente convinto che si possa parlare di tutto. A tempo debito però, e nel contesto giusto. Mi fa sorridere leggere o sentire quelli del "Non si può dire niente!" perchè non è affatto così.  E basta farsi un giro sui social per capire che questi sono invece gli anni in cui si può dire troppo. A volte si scambia la libertà di espressione con l'opportunità d'espressione. Il linguaggio è cambiato e si è evoluto in linea con la società, così come tutte le forme d'arte si nutrono degli stimoli e dei cambiamenti della società in cui si sviluppano. Mi è capitato proprio ieri sera di ascoltare un vecchio servizio giornalistico degli anni '90 in cui si apostrofava una trans come “travestito”. Ecco, sono cambiate le parole, i modi di usarle e si è sviluppata forse una sensibilità maggiore rispetto ad alcuni termini e alcune definizioni. Piuttosto che trincerarmi dietro la stupidaggine "Non si può più dire niente", trovo interessante e stimolante cercare di dire ciò che voglio dire rispettando alcune sensibilità. Questo non significa adattare lo spettacolo al pubblico o limitarsi, ma giocare allo stesso gioco con regole nuove. Lo vivo come uno stimolo piuttosto che come una limitazione».
Il tour la porterà in giro ancora per un bel po', quali poi i prossimi progetti?
«Sarò in giro ancora a lungo con Il Ventennio e non vedo l’ora. Nel frattempo sto curando la direzione artistica degli Open Mic Tour di Comedy Central, una vetrina per giovani comedian emergenti, e coordino il progetto Comedy Central Live che è invece una rassegna di comedian professionisti. Mi occupo inoltre di formazione da anni e proprio per questa passione per l’insegnamento, oltre che per il palco, mi ha portato a ideare e progettare nel 2020 in Comedy Village, un ritrovo di una settimana per tutti gli appassionati di comicità. E anche quest’anno mi dedicherò al progetto giunto alla quinta edizione. E ci saranno grandi novità! E poi altri progetti in itinere che non svelo per scaramanzia. Ho la residenza a Roma ma rimango pur sempre un uomo del Sud». 
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