Fenoglio è la mente e lui è la faccia. Antonio Pellecchia, l’appuntato dei carabinieri che accompagna il maresciallo Pietro Fenoglio in tutte le sue indagini, è la faccia verace di Bari, quella degli anni Novanta che dall’altra sera è entrata nelle case di milioni di italiani (per la precisione oltre 3milioni e ottocentomila, tanti sono stati gli spettatori) con la prima puntata della fiction «Il metodo Fenoglio – L’estate fredda» andata in onda su Rai1 e ispirata alla trilogia scritta da Gianrico Carofiglio.
A dare volto, anima, e «panza» ad Antonio Pellecchia è l’attore barese Paolo Sassanelli, che racconta: «Siamo molto contenti del successo della prima puntata. Il prodotto è molto bello. È un crime, ed è già stato acquistato all’estero da tv importanti.»
Come è entrato nel personaggio?
«Prima di tutto gli ho dato una fisicità importante, non edulcorata ma terragna. Mi sono ispirato a tante figure che ho conosciuto a Bari. Un collage di tanti aspetti della baresità e di personaggi baresi. Pellecchia è uno che sta sempre al confine della legalità. È un carabiniere che conosce perfettamente il territorio, sa come muoversi, come gestire le indagini a modo suo. Con Fenoglio si completano. La coppia è proprio bella.»
Un po’ come Don Chisciotte e Sancho Panza?
«Sì, sono proprio così. Fenoglio è il visionario che ama la cultura. Pellecchia è concreto, “terra terra”. Sono due facce della stessa medaglia. Pellecchia è un bellissimo personaggio scritto da Carofiglio».
Per la seconda volta, a distanza di un quarto di secolo, lei interpreta un personaggio della Bari violenta degli anni Novanta. Ne «Lacapagira» di Alessandro Piva era dalla parte dei cattivi, questa volta dei buoni. Com’è stato tornare e ricreare quegli anni?
«È stata una responsabilità perché ho cercato di rendere quanto più possibile credibile quello che facevo, e aderente alla realtà di quegli anni che era una realtà bella tosta per noi baresi. Venivamo fuori dal contrabbando con i blindati dei contrabbandieri che sfondavano i posti di blocco dei finanzieri. Un periodo difficilissimo. E poi omicidi uno dietro l’altro, una vera e propria guerra di mafia. L’aria era amara, come si dice a Bari. Poi c’è stato il momento del bivio, nato con una piccola rivoluzione con l’elezione di Nichi Vendola, la nascita dell’Apulia Film Commission. E si è trasformata la città e la Puglia. Quello che cerchiamo di riportare nella fiction è lo strato di nebbia interiore di quegli anni difficili. Non è la Bari da cartolina. Non è la Bari dei panzerotti. È la Bari della droga, della violenza, la Bari che incendiò il Teatro Petruzzelli. Ed è giusto raccontarla così com’era e per fortuna come non è più.»
Cosa ha significato per lei al tempo l’incendio del Petruzzelli che abbiamo rivissuto nella fiction?
«Per noi del mondo artistico è stato una tragedia, una coltellata quasi mortale. Al Petruzzelli io ho visto Peter Brook, Pina Bausch, Dizzy Gillespie. Anche allora però Bari ha dimostrato la sua grandezza, è rinata dalla ceneri. Ora al Petruzzelli abbiamo grandi spettacoli, opere liriche, il Bif&st.»
Ora «Il metodo Fenoglio», di recente «I bastardi di Pizzofalcone». A cos’altro sta lavorando?
«Sarò nei teatri d’Italia con Alessandro Haber e Giuliana De Sio in “La signora del martedì”, fino ad aprile. Poi in Puglia in teatro con Alessandro Piva per il terzo anno rifacciamo “Quanto basta” con Lucia Zotti. Speriamo di tornare a Bari con le riprese della seconda stagione di Fenoglio.»