"Apulia siticulosa” la definiva Orazio, sottolineando la tipicità di un territorio arido e dunque bisognoso d’acqua. Quando si dice che la classicità sa sempre fissare concetti e sistemi, ed è più attuale che mai. Vengono in mente i versi del grande autore latino – “Mai tanta arsura calò dalle stelle della Puglia assetata” – nell’apprendere del ‘grado severo’, come comunicato in questi giorni, relativo alla mancanza del bene primario.
E non c’è traccia di stelle né di quella bellezza che secoli fa Orazio seppe comunque conferire a una terra che, in quanto originario di Venosa, conosceva bene. Non c’è poesia che tenga, insomma, nel constatare una realtà che poco ha a che fare con il Fato, sempre molto facile da invocare come capro espiatorio, ma piuttosto con decenni e decenni di incuria, perché tanto la dea Pioggia prima o poi le sue grazie le elargisce. E forse dovremmo proprio spostare le lancette dell’orologio ai tempi di Orazio, il primo a sottolineare – oggi diremmo a denunciare – quella carenza mai evidentemente presa sul serio. Si ha un bel dire dell’agricoltura, e non solo, in ginocchio; la sensazione è la stessa oraziana, solo che a guardare le stelle gli agricoltori non certo si illuminano; tutt’altro. Si spengono. E ora che il fabbisogno non tocca solo le campagne ma anche la città e gli usi civili, il problema assume dimensioni persino mitologiche. Come se la civiltà fosse stata d’un colpo azzerata. Facciamo i conti con l’uso razionato e ragionato in casa; così invita l’Acquedotto pugliese raccomandando parsimonia. Come se fosse per noi un piacere o un hobby stare con i rubinetti aperti senza motivo, con buona pace degli atteggiamenti responsabili che presumiamo siano essere quelli in possesso dei più.
Povero inascoltato Orazio; forse pensava di poter essere testimone di qualche passo in avanti in materia – perché i Romani con miracoli e magnificenze ci hanno sempre stupiti – anziché lasciare su carta versi tanto belli quanto sconsolati. E poveri noi che da quando siamo bambini abbiamo appreso dello spettro della diga di Occhito prima di mostri e orchi che hanno popolato i nostri libri di favole. La sensazione è di una enorme stanchezza, di un film troppe volte visto ma senza un finale, senza un senso. Nel migliore dei casi. Nel peggiore, con uno spettro che bussa alla porta e nessuno ci dice chi è e perché toglie l’acqua; chi lo ha preso di peso dal libro delle favole e lo ha portato qui a fare il bello, anzi il cattivo tempo.












