Avevamo appreso sui libri di civiltà greca quanto fosse importante la partecipazione attiva dei cittadini alla vita pubblica, e l’agorà non era un concetto astratto, ma spazio ben definito, luogo di discussione. Lo avevano poi ribadito i Romani, con tutta l’estensione possibile della cosiddetta ‘res publica’. Ora, è vero, noi non siamo né in Grecia né a Roma, non quelle antiche almeno. Eppure vorremmo che questa partecipazione attiva, oggi, fosse un momento che non riguardi gli ultimi trenta giorni di campagna elettorale. Perché così si sente il cittadino: trascurato per anni e poi insidiato da continui messaggi, corteggiato, persuaso. E può anche andare bene.
Ma perché non dare almeno l’impressione che si possa fare di più e meglio, visto che per i politici i bisogni della polis, e dunque dei cittadini, sono un preciso dovere? Perché non coinvolgerli almeno un anno prima, organizzare forum a tema, scrivere realmente, ma realmente, un programma elettorale insieme e non certo in venti giorni quando chiunque, pur dotato di ottima penna e altrettante idee farebbe fatica a buttarlo giù, già solo per l’ansia dei tempi stretti?
Perché cinque punti ben chiari, riassumibili in ambiente, economia, sociale, cultura e legalità, non sono oggetto di focus precisi e di altrettanto chiare strategie non da spostare dall’elezione in poi, ma da preparare in anticipo, in modo che il cittadino possa vedere sul campo l’impegno del candidato e toccare con le sue mani il processo di partecipazione per il solo fatto di esserne parte integrante? Poi, sappiamo tutti che ci sono battaglie che si combattono e si perdono – e non sono meno belle e vere di quelle vinte – ma perché non seminare al tempo giusto, semplicemente come fanno i contadini? La sensazione – e ci scusino i candidati, tutti ottime persone – è di essere strattonati, presi per la giacchetta, tirati in ogni dove senza, forse, aver avuto neanche il piacere di conoscere de visu il candidato in questione.
Magari tutti questi interrogativi resteranno senza risposta, ma ci permettiamo sommessamente di ricordare loro che siamo essenza, non numero. E che ci farebbe piacere dire la nostra, non per lamentarci, ma per trovare soluzioni insieme, sull’acqua che non c’è, su un’idea di cultura non pervenuta – e pensare che i Pavese e i Calvino non sono poi così lontani; loro sì, intellettuali engagés – e su una città che un po’ più bella potrebbe essere. Anche grazie a noi e alle nostre idee.
















