Non poteva saperlo Clizia, la musa di Montale, che in un racconto dello scrittore ligure fa sosta “sotto il torrido cielo di Foggia”, e precisamente nella stazione. Già, la stazione, meno poeticamente “Quartiere ferrovia”, vulnus di una città che lacerazioni ne conta sempre tante, rese senz’altro più scottanti dal caldo di luglio, mese in cui, oltretutto, i disastrosi bombardamenti evocano ulteriori squarci, urbanistici in questo caso, per via di ricostruzioni informi e senza identità. E questa è un’altra storia ancora che si snoda a mo’ di scatola cinese all’interno di altre, come se non ci fosse un fondo. Un video dei giorni scorsi – un j’accuse politico, ma non solo – fotografa in modo spietato la quotidianità di quello che un tempo era il salotto buono della città. Risse, prostituzione e degrado hanno preso il posto di passeggiate, conversazioni e shopping.
La questione ha assunto una rilevanza nazionale, e confidiamo che una parola fine possa mettersi. Ma resta l’amarezza di fare le stesse constatazioni del personaggio letterario di Montale, in realtà donna in carne ossa, Irma Brandeis, da lui disperatamente amata (come disperatamente amiamo la nostra città anche quando ne evidenziamo difetti, come si fa appunto con chi si ama; non per mortificare, ma per far crescere). La donna è nella sala d’aspetto, sconfortata dalle ore d’attesa, e cerca una via di fuga volgendo su gli occhi. Visualizza un ragno, immagina di trasformarsi in animale, e sente di aver accresciuto “l’illusione di spazio e libertà”.
Quella che noi foggiani non abbiamo, visto che in questi tempi scarseggia in modo vistoso l’acqua, altra falla, è il caso di dire, di dighe da tempo immemore ridotte a colabrodo. Anche in questo caso, è di pochi giorni fa l’ulteriore j’accuse su questa vicenda con una diagnosi spietata: 50 milioni di metri cubi d’acqua in meno rispetto allo scorso anno. Restiamo così a mezz’aria su questi due annosi problemi, e non abbiamo, come Clizia, la possibilità di addormentarci e avere rassicurazioni che attutiscano anche solo per un po’ il caldo, il degrado e la mancanza d’acqua. Però la speranza, quella sì, non ci abbandona mai. Siamo pur sempre figli di quel Federico che scelse Foggia quale “regalis sedes inclita imperialis”, luogo strategico e di svago allo stesso tempo. Non è favola, ma storia; e la storia, si sa, soggetta a corsi e ricorsi, può forse un giorno portarci, se non a fasti imperiali, a una dignità assodata sui bisogni minimi: acqua e sicurezza.