Ogni 2 luglio, Matera si trasforma. Le strade si inondando di fiumi di gente, la città si veste di luci e suoni, e il cuore dei materani batte all’unisono al grido di “Viva Maria!”. La nostra Festa della Bruna, trascorsa da qualche giorno, è un rituale che unisce sacro e profano, polvere e cartapesta, devozione e adrenalina. Una celebrazione così potente da sembrare uscita da un racconto epico, dove il protagonista non è solo il carro trionfale ma l’intero popolo che lo accompagna, lo venera… e infine lo fa a pezzi. Letteralmente. Il carro, monumentale opera in cartapesta, frutto di mesi di lavoro creativo da parte di sapienti mani artigiane, viene assaltato e distrutto in pochi, concitati minuti. Un gesto antico, ancestrale, che racchiude un senso di catarsi collettiva, il desiderio di portare a casa un frammento di sacro, un pezzetto di fortuna, un ricordo da tramandare. È un’esplosione di passione, di identità, di “materanità” pura.
Quest’anno, però, ma non è la prima volta, qualcosa si è incrinato più del solito. L’assalto, invece di essere il culmine liberatorio di una giornata intensa, si è macchiato subito dopo di violenza gratuita. Spintoni, pugni, frustate. In pochi secondi, la gioia si è tinta di nero. Non era il sacro furore rituale, ma un’aggressività che nulla ha a che fare con lo spirito della festa generata da una minoranza, ma sufficiente a rovinare il momento. E allora bisogna dirlo: non basta amare la Bruna, bisogna anche proteggerla. Se vogliamo davvero candidare questa meraviglia al Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità UNESCO, dobbiamo alzare l’asticella. Nell’educazione, sì — perché non è facile gestire decine di migliaia di persone e un carro che ha la stessa fragilità di un sogno in cartapesta — ma soprattutto nella consapevolezza collettiva. La festa non può diventare uno sfogo di frustrazioni né un’arena da reality show. È un patrimonio culturale e spirituale che chiede rispetto. E a onor del vero, va detto: l’Associazione Maria Santissima della Bruna fa già i miracoli. Con budget spesso risicati e una pressione sociale degna di una finale mondiale, riesce ogni anno a costruire un evento che è spettacolo, religione, folklore, arte e adrenalina. Con una dose di incoscienza romantica e un’ostinazione tutta materana, riesce a rinnovare una tradizione che ogni anno dà i brividi. Ma ora serve il passo in più: formazione, regole condivise, educazione emotiva della folla, di chi protegge e distrugge il Carro, nuove strategie di sicurezza con maggiore comunicazione per i residenti e i turisti e — perché no — un patto simbolico tra cittadini e festa. Difendere la Bruna vuol dire renderla ancora più eterna. Perché la vera forza di questa celebrazione non è nel carro che viene distrutto, ma nel potere di ciò che viene ricostruito e tramandato con fiducia.