Diceva Flaiano che “l’autunno la ricorda, l’inverno la invoca, la primavera la invidia e tenta puerilmente di guastarla”. E insomma, non c’è che una stagione, l’estate, e il solstizio di ieri la saluta senza più condizioni e tentennamenti, in una sorta di resa totale a quel giorno, il 21 giugno, che simbolicamente è il più lungo dell’anno; l’alba che non ne vuole sapere del tramonto. Ma bisogna avere un ostinato bambino interiore per pensare, malgrado tutto, che l’estate sia una situazione eterna, fatta di gelati e di compiti a casa che solo a fine agosto si faranno.
O bisogna crogiolarsi nella gioventù e immaginare falò in riva al mare e cotte che di eterno non hanno che il sapore, pur piacevole a quell’età, dell’effimero. O bisogna indugiare nei campi dell’adultità per immaginare l’estate come il tempo della libertà infinita e assoluta, fatta di barche a vela e cene che iniziano al tramonto. O infine, bisogna sostare nei territori angusti della vecchiaia per immaginare la stagione delle passeggiate lente, e queste sì, infinite. Un viale del tramonto il cui punto fuga sia il più lontano possibile.
Perché è solo la somma di tutte queste età, il fatto di aver vissuto abbastanza, a farci comprendere che un paradiso di sogni solo estivi non esiste, come ci ricorda l’antropologo francese Claude Lévi Strauss: il tropico è triste. E tale stagione – o i luoghi in cui essa è perenne – può avere senso solo se si fa un passo indietro per guadarla da lontano, ma non per sostarci troppo a lungo, altrimenti si approderebbe a un Eden che fa solo venire voglia di scappare, come dimostra l’esperienza di “Candide” di Voltaire. Lui sì, giovane, ottimista e ribelle che si farebbe prendere a calci dalla vita piuttosto che stare in un eldorado senza una dimensione di operosità. Che quest’estate, quindi non sia soltanto rumore, cibo, sperpero senza fine e spossatezza; che ci sia, dentro, la dimensione dell’alternarsi stesso delle stagioni a ricordarci che c’è un tempo per tutto.
Lo spirito dell’autunno ha bisogno del silenzio, quello dell’inverno riposa nel tempo della zolla nera che porti quel seme che la primavera dischiuderà, prima di rigonfiarsi nell’estate fatta di tante cose, colori e suoni che devono però ricordarci soprattutto il piacere delle pause, perché la musica sta proprio nell’alternarsi di silenzi e suoni esattamente come la vita sta nella continua oscillazione delle stagioni. Senza una che abbia il predominio sull’altra.