La comunità di Avetrana non è né retrograda, né omertosa. È solo vittima di un delitto orribile, commesso in ambito familiare. La vittima: una ragazzina appena adolescente. I colpevoli sono stati già ristretti dalla giustizia italiana, con sentenza definitiva. L’Italia è piena di fatti di cronaca nera orribili. Nel nostro ridente Belpaese si scannano, bruciano, seviziano allegramente mogli, mariti, mamme, padri, figli e figlie. Tutti i giorni, tutti i santi giorni. Più morti sul lavoro quotidiani, sciagure ambientali diuturne, cadenzate ammazzatine tra criminali. Ma quello accaduto quattordici anni fa nel paese dei devoti a San Biagio, continua a suggestionare l’opinione pubblica. E chi ne sfrutta la morbosità, offre al mondo una serie tv titolata: ‘”Avetrana – Qui non è mica Hollywood”. È vero: Avetrana non è Hollywood. È l’ultimo paese del tarantino, che già muta in Salento. Gli avetranesi sono tignosi: bloccarono la costruzione di una centrale nucleare in mezzo agli oliveti secolari, anni fa. Ad Avetrana resiste il senso di comunità, nonostante tutto. Passeggiare nelle notti d’estate nel suo centro storico restituito al vero - e non plastificato come in altri luoghi pugliesi - è una esperienza iniziatica.
Chi scrive ci ha girato anche in alcune fredde notti d’inverno in orari più adatti al sonno che alla veglia. Le strade deserte non trasmettevano alcuna ansia e gli scorci netti, staglianti nell’aria tersa, si lasciavano preferire a quelli confusi dal caldo estivo. Era il paese in cui avrebbe dovuto crescere una ragazzina uccisa dall’ignoranza, dal rancore, dalla ferocia. Sarah Scazzi manca ad Avetrana. Resta una tomba col suo nome, nel cimitero sulla che porta sulla strada verso il confine con Manduria. L’essenza degli avetranesi sta nel cordoglio e nel ricordo di una adolescente a cui è stato impedita la trasformazione in donna. Una crisalide eterna, dal sorriso acerbo e indimenticabile, che oggi si accompagna a quel senso di fatalistica indulgenza che, per noi meridionali, il lutto porta con sé. C’è qualcosa di profondamente umano in tutto questo. Di ancestrale. Altro che arretratezza! Associare ancora il nome di Avetrana a quello di Sarah equivale a togliere a una ragazzina l’eterno riposo a cui è stata costretta. Con violenza, senza alcuna pietà. Il circo mediatico che ha sguazzato in quell’orrore è stato più spaventoso che mai. Giornalisti arrivati da ogni dove, pronti a descrivere Avetrana come il posto abitato dagli ultimi italiani con l’osso nei capelli, l’anello al naso e la sveglia appesa al collo. Non è così. Non è mai stato così. Resista, quindi, un pensiero tenero per Sarah e uno per la comunità avetranese: né retrograda, né omertosa.