In questi mesi, i miei «Punti di vista» hanno sempre cercato di stimolare interesse fuggendo dalla banalità e evitando l’incastro con la cronaca. Se l’obiettivo sia stato raggiunto resta nell’opinione di ogni lettore ma, per ciò che mi riguarda, ho profuso impegno.
Tale premessa serviva a chiedere perdono se quel che scriverò sembrerà ovvio, ma l’approssimarsi delle feste di fine anno provoca in me il rigetto per una forma di celebrazione attiva soprattutto a Natale e a Capodanno. I botti, per me, sono insopportabili. Ho trascorso, in anni passati, le Feste in un appartamento del quartiere Tamburi di Taranto. Quello che visto e sentito è stato irrazionale. Un continuo crescendo di esplosioni, botti che facevano tremare i muri. So riconoscere un colpo di arma da fuoco: si usciva sul balcone al rischio della vita. Dalla finestra potevo vedere il quartiere Paolo VI: uno scenario luminoso di demenza allucinante senza sonoro, perché i botti dei Tamburi impedivano qualsiasi contributo auditivo estraneo.
Ci sono state volte in cui, nel momento culminante del fine d’anno travolgente, tenevo compagnia a tre cani. Quegli sguardi perduti, impauriti, tremanti non li dimenticherò mai. Altro sì, i cani no. Sembra mi dicessero: «Com’è? Tu che giochi con noi, ci dai da mangiare e da bere, ci accarezzi e ci parli … non sei capace di far finire tutto questo? Ma ti rendi conto in che stato siamo ridotti? Lo sai che abbiamo un udito enormemente più sensibile del tuo, e se a te danno fastidio ‘sti rumori, immagina che effetto hanno nella nostra testa! Ma che caspita di amico sei?».
Partiva, a quel punto, una jam session di ‘bau’ di protesta, interrotta dal solito superbotto dei Tamburi che trasformava l’abbaio dei tre in tremito, la contestazione in richiesta di soccorso. Tutti e tre venivano a rifugiarsi su di me, quasi che io potessi rappresentare la loro ultima difesa. E io, come unica reazione, spolveravo tutto il mio autorevolissimo repertorio di maledizioni, dedicandolo ai disgraziati che provocavano quei rumori violenti, con un pensiero speciale alle nonne, sorelle e madri di costoro, sulle quali nutrivo - e nutro - seri dubbi d’onestà coniugale.
Tornare a casa in auto era da annoverarsi tra le imprese eroiche della vita. Lo scenario dell’una di notte nei pressi della scuola ‘Giusti’ era assimilabile ad una Apocalisse passata al tritacarne. Adesso dovrei concludere invocando pace, amicizia e amore. Chiedendo di evitare i botti. Ma non sono scrittore di parole inutili, so come andranno questi giorni. Che passino subito, allora. Soprattutto per rispetto di quei tre cani che ho perduto, ma che conservano un posto nel mio cuore.