Lo sguardo si espande e vira verso due differenti orizzonti, si acuisce come quello dei rapaci e tenta un atterraggio nella luce che tutto permea togliendo i bordi alle foglie dei pini marittimi come all’edera che si arrampica, baronessa rampante, su tutti gli alberi dei sentieri sottolineati da staccionate che indicano le vie dei tassi, delle volpi, delle upupe. Laggiù comincia un concerto di rane nel teatro delle paludi amplificate dai canneti mossi dal grecale.
Laggiù c’è un mormorio di elitre che stanno in volo, come eseguendo un eterno solfeggio che si lascia sospendere a mezz’aria da uno stupore vertiginoso quanto l’afrore delle dune e delle ginestre. Puoi camminare per chilometri e attraversare tutte le ombre azzurre che si intersecano a formare disegni e ideogrammi sul selciato e nelle svolte rotte dalle grosse radici, hai bisogno di una giornata per dilagare in tutto questo spazio che diluisce nell’Adriatico dell’ultima spiaggia in fondo alla Riserva Naturale Le Cesine.
A pochi chilometri da Lecce, tra la marina di San Cataldo e innumerevoli percorsi ciclo-turistici che portano nella vicina Acaya oppure alla pista di decollo, è possibile sentire in fondo ai padiglioni auricolari, dietro le cornee, nel cuore o sotto la pianta dei piedi che cosa davvero sta ad indicare un richiamo della foresta. Sono tornate le rondini nelle nostre città e la luce dell’ora blu è più lunga, ma per sfiorare con mano la vera bellezza di questa stagione che trattiene gli ultimi colpi di coda del passato inverno e mescola gli slanci della primavera, bisogna attraversare uno dei polmoni verdi che a queste latitudini fanno da Città Proibita a molti ultimi imperatori del cielo.
È sufficiente avanzare recando in dono una porzione dei propri intimi silenzi, quelle pause interiori che così ben si accordano al planare degli uccelli e al ronzio dei calabroni sulla bassa vegetazione retrodunale, è sufficiente restituire a ogni respiro la gratitudine per la pace profonda che questo luogo redistribuisce in quanti qui si spingono per camminare o per correre, con gli amici, in coppia, coi bambini piccoli oppure da soli.
La grande pianura che raccoglie tutti i tramonti come un battuto d’uovo per lo zabaione, è la confluenza di molte condivisioni e di vite possibili. La vita dell’uomo e quella della tartaruga, quella del sognatore e quella dell’insetto che zampetta paziente verso la sua tana, quella del ciclista e quella del cane che segue la traccia fantasma di tutte le volte che qui ci siamo smarriti e ritrovati.