Anche in Puglia abbiamo un monte «diabolico» come quello che in Ucraina ispirò a fine Ottocento il compositore Musorgskij per il suo più noto poema sinfonico. Si trova in agro di Manduria e non si chiama «Monte Calvo» come in quel caso bensì, più prosaicamente, «Monte dei Diavoli» (o del Diavolo, al singolare).
Trattasi di una particolare formazione rocciosa che si erge isolata nel bel mezzo di una vasta zona pianeggiante dominata da una macchia mediterranea ancora incontaminata. Un vero colpo d’occhio paesaggistico, che sposta la visuale di chi guarda in una dimensione «altra»: sembra di stare in Idaho, in Cile, o in certe aree montuose del Sudafrica. Affioramento carsico di 117 metri s.l.m. (è il quarto per altezza delle Murge Tarantine) dalla cui sommità è possibile scorgere un panorama mozzafiato - splendide masserie, alcune pajàre, il mar Ionio e, nelle giornate più limpide, a ovest, il massiccio del Pollino e i monti della Sila - si trova in un’incantevole contrada rurale situata tra il bosco dei Cuturi e la zona archeologica «Li Castieddi» e deve probabilmente il proprio nome alla particolare conformazione che lo rende, circondato com’è da prati di bassa ma rigogliosa vegetazione selvatica, poco accessibile agli escursionisti e agli appassionati di bicicletta che battono frequentemente la zona. Ma è anche un luogo tenutario di misteriosi miti e antiche leggende.
Un tempo chiamato Tremulu (da tremore, definizione che trova i suoi natali nella leggenda secondo la quale il rilievo traballava poiché ritenuto di origine vulcanica, sulla scorta del colore grigio di alcune pietre sulla cima che quando si rompono si sfaldano facilmente, quasi fossero state cotte dal fuoco), si narra venissero celebrati sulle sue sommità sabba e cerimoniali esoterici, rigorosamente al chiar di plenilunio. È verosimile che il monte, trovandosi dipresso a un insediamento messapico abitato fra VIII e il III secolo a.C., possa essere stato considerato una sorta di «Pritaneo», l’edificio cioè che nelle città dell’antica Grecia custodiva il fuoco sacro e nel quale si era soliti praticare i sacrifici comuni: tale sito era infatti abitualmente ubicato nel punto più alto del territorio, e vi erano accolti a banchetto gli ambasciatori e anche, a vita, i cittadini ritenuti particolarmente meritevoli. Tale fuoco era veneratissimo dai pagani e rappresentava il principe della morte per gli ebrei e il simbolo dell’inferno per i cristiani. Il monte pertanto conserva l’aura di un luogo di culto e al tempo stesso quello di uno spazio primevo, brullo, la cui ostica raggiungibilità sembra preservarne da secoli (per fortuna) la maestosità.