Martedì 30 Settembre 2025 | 23:08

Bizzarro e incompiuto meraviglioso come il Sud

 
Omar Dimonopoli

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Omar Dimonopoli

Bizzarro e incompiuto meraviglioso come il Sud

La voce più accreditata ritiene risalga alla prima metà dell’Ottocento, eretta da alcuni sacerdoti liquorini durante il periodo di Quaresima per fornire la cittadina di un luogo di preghiera dedicato al calvario del Salvatore

Domenica 23 Ottobre 2022, 10:18

Unico nel suo genere, il Calvario a Manduria è un monumento bizzarro che, nella sua anarchica bellezza, potremmo assurgere a metafora di un Sud come opera in perenne divenire: straordinario aggregato di cocci, conchiglie e fondi di bottiglia, è composto di alcuni elementari mosaici che ritraggono scene dalla passione di Cristo. Di fattura popolare, la struttura conserva frammenti di maiolica di pregio e provenienza varia ma, soprattutto, pur allocato nel pieno centro della cittadina messapica, non è possibile con chiarezza risalire alle sue origini: non v’è infatti testimonianza su chi abbia edificato quella particolare costruzione ad angolo, tantomeno esistono al riguardo documenti ufficiali.

La voce più accreditata ritiene risalga alla prima metà dell’Ottocento, eretta da alcuni sacerdoti liquorini durante il periodo di Quaresima per fornire la cittadina di un luogo di preghiera dedicato al calvario del Salvatore. Un primo abbozzo del monumento fu quindi realizzato in pochissimo tempo con chianche prelevate dalla limitrofa piazza Vittorio Emanuele II. L’aspetto era - pare - quello di un monticello di pietre cosparse di terra, sul quale i religiosi piantarono cinque grandi croci. A non essere soddisfatti di questo modesto altarino furono però proprio gli autoctoni, che ben presto optarono per una modifica radicale della struttura embrionale. L’arciprete dell’epoca, Marco Gatti, decise così d’incaricare per gli abbellimenti dell’opera il laico Giuseppe Renato Greco. Costui, un professore assai eccentrico, che spese i successivi quarant’anni di lavoro per arricchire l’originaria struttura sino a conferirgli l’aspetto che conserva a tutt’oggi. La decisione da parte del professore di allestire le principali scene evangeliche attraverso grosse porzioni di frammenti maiolici di varie epoche e colori, rende questo monumento una delle più importanti testimonianze della produzione di ceramica delle zone di Manduria e Laterza, luoghi nei quali Giuseppe Renato Greco si recava di casa in casa per raccogliere stoviglie, vetri rotti, vasi, vecchie anfore e ogni altro tipo di materiale con cui gli sembrava potesse arricchire il proprio lavoro. Da un’analisi compiuta sul manufatto, si è scoperto che molti cocci utilizzati sono un prodotto della ceramica graffita mandurina del Cinquecento, che presenta colori verde e marroncino su fondo giallo; alla ceramica laertina del Seicento appartengono, invece, i ricchi pezzi che di un vivido colore turchese. Non mancano, infine, elementi provenienti da Napoli e Faenza per un’opera che, fino a qualche tempo fa, era teatro della Passione Vivente e che oggi è diventata meta di un turismo sospeso tra la devozione e la passione per l’arte “weird”. Quasi un museo a cielo aperto, misteriosamente allocato nel centro di Manduria.

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