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I rifiuti nelle cave la Puglia come la Terra dei Fuochi 14 arresti e sequestri

I rifiuti nelle cave la Puglia come la Terra dei Fuochi 14 arresti e sequestri

 
I rifiuti nelle cave la Puglia come la Terra dei Fuochi 14 arresti e sequestri

Sabato 12 Aprile 2014, 13:03

03 Febbraio 2016, 04:46

di MASSIMILIANO SCAGLIARINI

BARI - Per almeno un anno i rifiuti urbani di mezza provincia di Salerno sono finiti nelle cave e nelle campagne pugliesi e lucane, nei luoghi in cui cresce il grano, a un passo dai parchi archeologici, in quei buchi della terra che dovevano produrre ricchezza e invece l’hanno avvelenata. A volte per coprire il misfatto bastava una pala meccanica, altre volte serviva l’incendio: ed eccola, per la prima volta immortalata in immagini, la «nostra» terra dei fuochi.

Li hanno fermati, alla fine, dopo che incuranti delle indagini stavano perseverando in un business che fruttava non meno di un milione di euro al mese. Almeno dodicimila le tonnellate di rifiuti sversate, chissà quante finite dove nessuno le troverà mai. Ieri il gip di Bari, Sergio Di Paola, ha messo il sigillo all’inchiesta «Black Land» coordinata dagli uomini della Distrettuale antimafia di Bari (agli ordini del colonnello Maurizio Favia) con i carabinieri del Noe di Bari e del Comando provinciale di Foggia: 14 gli arresti per traffico illecito di rifiuti (ma non viene contestata l’associazione per delinquere: non è mafia), una persona è ancora ricercata, una nel frattempo è morta ammazzata. Sono 24 gli episodi ricostruiti di illecito abbandono o incendio di immondizia tra il Foggiano, Trani e il Melfese. Uno degli arrestati, Pasquale Martino Di Ieso, di Avellino, risulta citato nelle rivelazioni che il pentito Carmine Schiavone ha fatto il 7 ottobre 1997 alla Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti: all’epoca era indicato come autista di camion, 15 anni dopo ha fatto il salto di qualità.

Nella Biocompost di Di Ieso la frazione umida dei rifiuti raccolti nei Comuni cilentani avrebbe dovuto essere trasformata in ammendante naturale. Ma, hanno accertato i Carabinieri del Noe, nell’impianto «non era in corso un processo di compostaggio, ma semplicemente di stoccaggio di rifiuti, peraltro in quantità notevole». Da lì i camion guidati da padroncini foggiani (7 quelli arrestati) andavano di norma a scaricare in una ex cava di Ordona, la Edil C, dove una pala meccanica provvedeva a ricoprire tutto con la terra. Ma un bel giorno, a febbraio 2013, sono arrivati i carabinieri.

Le indagini (dirette dai pm GIuseppe Gatti della Dda e Renato Nitti della procura di Bari, coordinati dall’aggiunto Pasquale Drago) hanno accertato che la fonte di tutto era la Sele Ambiente di Battipaglia, un’azienda inserita nel circuito legittimo (ieri è stata sequestrata, insieme ai camion ed a beni immobili per oltre 25 milioni) che aveva l’appalto di smaltimento dei rifiuti solidi urbani per diversi comuni del Salernitano. Da Battipaglia partivano, per un deposito in località Santa Cecilietta di Foggia, anche i rifiuti solidi che avrebbero dovuto essere trattati, selezionati e poi avviati verso una discarica. «I rifiuti in questione - scrive il gip di Paola -, dopo il conferimento in Foggia, venivano continuativamente e sistematicamente smaltiti in cave in disuso, in terreni agricoli, nonché in aree protette ubicate in territori pugliesi, campani e lucani, mediante tombamento, abbandono o, in taluni casi, incendio dei medesimi in cave non autorizzate e in aperta campagna». Ordona, Carapelle, Cerignola, Morcone, S. Nicola di Melfi, Trani. Ciascun camion trasportava 80 tonnellate. In un caso, il 26 luglio 2013, il mezzo che avrebbe dovuto scaricare in una cava di Cerignola prende fuoco: quelli dell’organizzazione, per salvarsi, provano a denunciarne il furto ed al telefono si agitano. «Sono arrivati i carabinieri! Il camion... è successo il casino! Devi sparire di qua Pasquà, fatti venire a prendere da qualche parte, non ti devono trovare!». La stessa cosa succede a Melfi: il camion si rompe, e loro abbandonano il mezzo e il carico dentro un capannone.

Se ieri non fossero scattate le manette, il sistema sarebbe continuato. L’8 febbraio scorso il Corpo forestale «ha accertato l’esecuzione dello smaltimento abusivo, in agro di Serracapriola, località Sant’Agata, di circa 30 tonnellate di rifiuti»: provenivano dalla provincia di Avellino, dovevano essere consegnati a Piacenza. Ma i camion sono rimasti impantanati e li hanno abbandonati lì. Il 21 febbraio i carabinieri hanno segnalato altri smaltimenti nella cava di Ordona: ogni carico, 10mila euro nelle tasche dei signori dei rifiuti.
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