Bella, capelli lunghi, ma soprattutto animo gentile: era una ragazza pugliese di nome Dalila, morta sotto un treno mentre tentava di salvare un cane. È una storia che molti non conoscono, ma che è stata riportata in luce dal docufilm firmato dalla giornalista foggiana Anna Langone. Un lavoro visto di recente in prima nazionale al Matera Film Festival. S’intitola “Santa Dalila”, ma non è un documentario religioso: con punto di vista laico, Anna Langone racconta la vita incredibile di Dalila Iafelice e la sua atroce fine, avvenuta sui binari della Termoli-Foggia.
Dalila, persona speciale dalla vita speciale, era nata a San Severo e offriva ogni attimo della sua giornata agli altri. Aveva vissuto una tragedia incredibile: a 18 anni, un incidente stradale che uccide due suoi coetanei e costringe lei ad una lunga riabilitazione. Ma da quel momento spalanca il cuore alla bontà. Fa più lavori per aiutare le cinque sorelle e la madre, già provata dalla scomparsa prematura del marito, diventa donatrice di sangue, raccoglie per strada cani randagi che cura e sistema fra familiari e amici. E così fa il 9 agosto del 2017: incontra un bimbo orfano di madre e padre alla stazione ferroviaria, ma il cane si lancia fuori dall'auto e fugge sui binari; Dalila incurante del treno in arrivo cerca di salvarlo. Il dramma si compie in pochi secondi.
Il punto fondamentale è che questo docu è in realtà una proposta per la beatificazione di Dalila. Può sembrare strano? Non lo è, perché - come spiega l’autrice - la richiesta trova fondatezza, oltre che nel numero crescente di santi laici e giovani voluti dagli ultimi pontefici, in una Lettera Apostolica di Papa Francesco del luglio 2017 (solo pochi giorni prima della morte di Dalila). Dice Langone: “Il documento di Bergoglio semplifica e accelera l'iter verso l'aureola per chi, giovane, compie l'oblazione della vita, cioè offre la propria vita in situazioni di pericolo”. E quindi il docufilm diventa un racconto e una proposta attiva. Bravissimi gli interpreti: la giovane Alessia Sciagura, studentessa universitaria foggiana, nel ruolo di Dalila; e i veri familiari di Dalila Iafelice, cioè le sorelle Teresa, Antonella, Simona, Nicole e Noemi Iafelice, la mamma Maria Assunta Carfagna, il cugino Antonio Mossuto. Poi il conduttore Rai Savino Zaba, che fa una partecipazione amichevole con un cameo e Giovanni Cataleta, che è un medico ospedaliero.
Come è nata l' idea del documentario?
«Da giornalista debbo trattare i fatti con distacco, ma la storia di Dalila mi è rimasta dentro, perché quel 9 agosto 2017, il giorno della sciagura, l'informazione non ha potuto dedicarle l'attenzione che avrebbe meritato. Quella vita sacrificata nel fiore degli anni, mentre Dalila era realizzata nel lavoro e negli affetti, ha continuato a dirmi che dietro c'era più di una disgrazia. Le dichiarazioni della famiglia poi lo hanno confermato "Quello di Dalila - hanno detto le sorelle - è stato un atto di coraggio, uno slancio che avrebbe compiuto per qualsiasi essere vivente"».
L'amore per gli animali e la figura di questa ragazza pugliese.
«I cani sono coprotagonisti del mio lavoro e non a caso compaiono nei titoli di coda (non è una battuta...). Hanno portato spontaneità, allegria e imprevisti sul set, quelle caratteristiche che Dalila ha amato in loro, contagiando in questo familiari, amici e conoscenti, presso i quali sistemava gli animali soccorsi per strada, dopo averli curati e nutriti. Dalila sognava di aprire un Rifugio per i randagi, il sogno cui le sorelle lavorano tuttora. L'amore per i cani era soltanto un aspetto del suo aprirsi alla sofferenza ed alle difficoltà degli altri, atteggiamento maturato dopo il terribile incidente stradale avuto a 18 anni. A testimoniare l'ampliarsi, per così dire, della bontà di Dalila anche l'iscrizione all'Avis e all'Aido e l'essere diventata donatrice di midollo osseo».
Cosa è successo dopo il documentario?
«L'auspicio dell'avvio di un processo di beatificazione, lanciato ad un Festival del Cinema sempre più internazionale come quello di Matera, fa notizia: è stato ripreso e commentato da decine di siti di informazione (anche stranieri), per non dire delle centinaia di post sui social. La richiesta intercetta in qualche modo il bisogno di "altro" che la gente avverte ma non riesce ad esprimere e riconoscersi in una storia diversa, che apre uno squarcio di speranza sul dolore che genera bontà».
















