ALTAMURA - Don Nunzio Falcicchio è il più giovane della nidiata di nuovi parroci di Altamura. Ha da poco lasciato la guida del Seminario diocesano a Gravina dopo la nomina del vescovo Mario Paciello a condurre il Ss. Redentore in un quartiere periferico e giovane. La sua omelia non la dice solo a voce in chiesa, la lascia anche su Facebook. Tanto entusiasmo che si scontra con la crisi. «C'è una mancanza di lavoro molto grave da cui nasce povertà - dice - e può portare alla depressione, alla rottura del clima familiare e finire nella ludopatia».
Chi chiede aiuto? «Nel nostro quartiere ci sono prevalentemente famiglie altamurane, molte sono giovani. Sono in tanti a soffrire la disoccupazione, cercano un lavoro ma non lo trovano. Tutte persone che hanno dignità. Se non sono in situazione di necessità, non accettano il primo aiuto del cibo, la busta con la pasta, l’olio ed altri generi alimentari. Vogliono solo lavorare e guadagnarsi il pane. Molti si sono ritrovati in questa situazione. Hanno dei mutui ma all’improvviso hanno perso la loro occupazione e si vedono persi. Assisto a storie molto dure in cui gli uomini si accasciano, si sentono falliti e finiscono nel gioco, sviluppando anche pericolose forme di ludopatia che potrebbero portarli nelle mani di usurai se non si fermano in tempo. Sono le mogli o altri parenti a dirmelo in parrocchia».
Queste persone si lasciano aiutare? «Alcuni sì, hanno deciso di fare dei percorsi di sostegno. Per la ludopatia vorrei aprire un centro di ascolto in chiesa. Nel frattempo insieme alla comunità di Fornello partirà un corso di formazione per operatori specializzati».
Come si fronteggia un momento di tale difficoltà senza poter dare risposte concrete alla maggior parte delle persone? «Oggi il compito di un sacerdote è soprattutto ascoltare. Tante volte aiuta. Offro la mia preghiera perché possano superare questo disagio e richiamo la comunità a gesti di solidarietà. Purtroppo la crisi non sta educando molto. C'è ancora tanto spreco. Non si rinuncia alla festa, ad esempio ho proposto il sabato sera per le comunioni, tutti hanno scelto la domenica. C'è il pudore di non mostrare l’improvvisa difficoltà, non si vuole far vedere agli altri che non possono permettersi il banchetto. Non c'è nulla di male. Se non si può, si deve festeggiare in casa».
Perché non si coglie il senso del dover vivere di ciò che è semplice ed essenziale, soprattutto adesso? «È quello su cui sto insistendo, affiancando anche i genitori del compito educativo. Questo Natale, insieme ai ragazzi, faremo feste sobrie. Bisogna evitare di chiedere ai genitori i regali costosi, il telefonino più avanzato, la scarpa firmata. Ci stiamo provando con il nuovo oratorio, con il torneo di street soccer, stiamo allestendo la squadra della parrocchia».
Passare dall’omelia sul giornale a quella su Facebook è un segno dei tempi. È realmente utile ad avvicinare le persone alla fede? «Tutto è nato per caso. Qualche volta ho scritto e mi è stato chiesto di continuare. Ho scoperto anche che qualcuno prendeva spunto per prepararsi alla messa. Allora lo faccio tutte le domeniche. Se anche uno solo si riavvicina alla chiesa, il mio scopo è raggiunto. La mia comunicazione preferita rimane quella con le persone, di relazioni con la gente. Questo è il momento del prete di strada. Papa Francesco, in fondo, ci invita solo a ritrovare la semplicità. Questa è la normalità, non il contrario».
















