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La Cgil raccoglie la sfida di Natuzzi

 

Giovedì 07 Ottobre 2010, 13:17

02 Febbraio 2016, 22:23

GIOVANNI FORTE * 

L’intervista rilasciata dal “re dei divani” Pasquale Natuzzi al direttore della Gazzetta del Mezzogiorno offre interessanti spunti di riflessione sul tema del lavoro, all’interno di un distretto produttivo, ormai fra i più importanti del Paese e che è interesse di tutti continuare a sostenere. Intanto è apprezzabile il modo in cui il sig. Natuzzi pone la questione della legalità, che richiama il rispetto delle regole come condizione per tutelare intanto i lavoratori, ma anche l’im - presa abbattendo condizioni di dumping insostenibile. La CGIL, su questo versante, ha sempre tenuto alta la guardia e si è resa protagonista di iniziative forti di denuncia del lavoro nero e delle violazioni contrattuali. Siamo ben lieti di incontrare la sensibilità dell’impresa, al punto da renderci disponibili ad attivare azioni comuni nei confronti delle Istituzioni, a partire dalla Regione Puglia che deve completare la fase applicativa della legge 28 contro il lavoro nero, nonchè degli organi di vigilanza. Il tema può essere trattato in un apposito incontro fra organizzazioni sindacali e gruppo Natuzzi. Ma si farebbe un torto alla ragione se si sottovalutassero le cause che hanno determinato una tale situazione.

Intanto la crisi del settore del mobile imbottito non inizia il 2008. Già da molto prima la produzione risultava fortemente ridimensionata e circa il 70% dei lavoratori erano già coinvolti dalla cassa integrazione. Una crisi affrontata dalle grandi imprese del settore attraverso un forte decentramento produttivo e che dava vita alla nascita di una miriade di imprese, a cui venivano affidati lavori in conto terzi, abbattendo di conseguenza i costi di produzione. Un modo opinabile di affrontare la competizione e che costringeva le piccole imprese ad intervenire a loro volta sui costi, facendo ricorso proprio al lavoro nero o, perché non dirlo, anche all’utilizzo degli stessi lavoratori delle grandi imprese in cassa integrazione e che avevano costruito il proprio futuro sulla base di un reddito, che di colpo subiva pesanti abbattimenti. Ciò avveniva sotto gli occhi di tutti coloro che, in maniera passiva, assistevano impotenti ad un processo di lento indebolimento di un sistema che, invece di guardare ad interventi di consolidamento del distretto dal punto di vista delle infrastrutture materiali e immateriali, credevano che il tutto si sarebbe potuto risolvere facendo leva sulla riorganizzazione e il decentramento della produzione. 

Allo sviluppo di un tale perverso intreccio, il gruppo Natuzzi non è stato affatto estraneo, anzi ha svolto un ruolo attivo nel determinare fenomeni distorsivi del mercato, che comunque hanno contribuito ad alimentare la pratica dell’illegalità. Tutto ciò ha finito per danneggiare sia le tante imprese che non ce l’hanno fatta a reggere la legge del più forte che i tanti lavoratori rimasti senza lavoro o finiti nel limbo della cassa integrazione. Il sig. Natuzzi sa bene quello che è avvenuto. Così come conosce il modo in cui la CGIL ha continuato a sostenere che la strada intrapresa fosse sbagliata. Lo scontro anche aspro che più volte si è determinato, è stato incentrato proprio su questa divergenza di fondo. Ora si tratta di correre ai ripari. Ed è apprezzabile lo sforzo del sig. Natuzzi ad impegnarsi per fare in modo che «la situazione non degeneri». 

Evidentemente emerge quell’attaccamento al territorio e alle sorti del distretto che non si può fare a meno di riconoscergli. Ma attenzione a non fare in modo che il tutto venga pagato dai più deboli. Mettere sotto accusa lo strumento della cassa integrazione appare estremamente fuori luogo. Se è solo un modo provocatorio per aprire una discussione va bene, ma fermiamoci lì. Come si fa a sostenere l’inutilità della cassa integrazione proprio mentre si continua a farne ricorso ed anche in modo massiccio? Conosciamo bene il modo anche insistente con cui il sig. Natuzzi continua a chiedere la riduzione del costo del lavoro, ma provocazione per provocazione, se il Governo nazionale fosse nella condizione di concedergli una riduzione del 30-40% egli sarebbe pronto a far rientrare tutti i lavoratori attualmente in cassa? Dall’intervista ciò non emerge. Allora sarebbe meglio dedicarsi seriamente al modo in cui superare la crisi, riprendendo il discorso avviato col Ministero dello Sviluppo Economico che, finalmente, dopo mesi di vacanza si avvale di un titolare, per riuscire a portare a casa l’accordo di programma. Un accordo che non può prescindere da un piano industriale che affronti il nodo dell’innovazione e sappia coinvolgere i lavoratori in un processo che non può vederli quali soggetti passivi su cui si scarica il peso delle difficoltà. Il modo migliore è quello di aprire alla contrattazione di 2° livello. Certo ognuno deve fare la sua parte. 

A partire dal Governo Nazionale che deve individuare le risorse da investire per sostenere l’occupazione (e l’accordo di programma individua un percorso condivisibile), ma anche il distretto, in sinergia con la Regione Puglia, che più volte ha manifestato la sua disponibilità. Così come si tratta di intervenire attraverso l’istituzione del marchio «made in Italy» e con l’etichettatura del luogo di produzione, come condizione per sconfiggere i fenomeni di illegalità e di contraffazione. E’ in questa chiave che va considerato il problema del costo del lavoro da affrontare con interventi che riducano il cuneo fiscale. Il prossimo incontro al Ministero è fissato per l’11 ottobre. La CGIL parteciperà, come al solito, con spirito costruttivo che non sempre è stato possibile riscontrare negli altri soggetti interessati. Non vorremmo che invece si finisse per parlare solo di cassa integrazione. 

* Segretario Generale CGIL Puglia
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