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Musica, «E non basta solo cantare in dialetto per dirsi folk»

 
Enzo Fontanarosa

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Enzo Fontanarosa

Musica, «E non basta solo cantare in dialetto per dirsi folk»

L'artista Chiara D'Auria

Al Dupu, il lupo, toccò aprire la strada. Da singolo, inteso come brano musicale. Chiara D’Auria, cantautrice lucana, con questo pezzo accattivante, incuriosì e si presentò.

Sabato 27 Maggio 2023, 17:15

MUSICA - Al Dupu, il lupo, toccò aprire la strada. Da singolo, inteso come brano musicale. Chiara D'Auria, cantautrice lucana, con questo pezzo accattivante, ricco di rimandi e suggestioni alle musiche del mondo e al folclore lucano, incuriosì e si presentò. Tanto che dopo il lancio a febbraio (il 17, giorno del suo compleanno) è cresciuta l’attesa per il resto dell’opera prima dell’artista, che vive a Milano ma è orgogliosamente legata alla sua Tito. Il disco, che si apre con «Dupu», che nel dialetto del centro del Melandro significa appunto lupo, fa proprio leva su quella parlata melodiosa che combinata a una tessitura musicale ricca dà vita a ben dieci godibili brani in totale. Parole e suoni che stanno bene insieme, scelte strumentali azzeccate, arrangiamenti accattivanti, sono tra gli aspetti del concept album Fess’ a chi muor’ (povero chi muore, spiritualmente parlando). Un lavoro che, si spera, non resterà unico nella carriera artistica di D’Auria, allieva nel canto autoriale di Mogol-Alfredo Rapetti e Giuseppe Anastasi. «Fess’ a chi muor’», disponibile da ieri su tutte le piattaforme digitali e in «cd», è stato realizzato dalla Liburia Records, etichetta discografica specializzata nella musica sperimentale, di ricerca e «world».

Il lancio di «Dupu» le ha dato conferme e tanti apprezzamenti. Cosa si attende, ora, per gli altri brani del suo «cd» d’esordio?

«I riscontri che ho avuto sono stati positivi per essere “appena nata”. Ma, in cuor mio, ho intrapreso questo viaggio con molta serenità: sinceramente non ho mai avuto paura che il mio progetto potesse passare inosservato perché credo che il folk sia una questione seria, e non basta cantare in dialetto per mettersi addosso quest’etichetta. Soprattutto, non si può fare tutto da soli, perché ci vogliono miriadi di competenze. C’è da prendere in considerazione un certo lavoro filologico quando si maneggia la tradizione, un lavoro di ricerca musicale e non solo. Perciò sì, credo che molta gente abbia voglia di prendere anche il resto, perché il folk è un genere che non potrà smettere mai di dire quello che ha da dire, se vira su percorsi sempre nuovi con amore e responsabilità. Ci sono molte più persone di ciò che siamo portati a immaginare oggi che hanno voglia di sentire voci dal basso, canti necessari, scevri da alcune logiche commerciali. E questo non me lo leva nessuno dalla testa».

Ha brani non inseriti in questo progetto che userà in seguito?

«In realtà no. Queste mie canzoni non mi hanno fatto ritrovare con materiale che non mi ha convinta e che quindi ho messo da parte, forse perché non le ho mai concepite come fatti puramente estetici: hanno avuto tutte un movente, un impulso fortissimo. Quando avevo un’idea e sentivo l’urgenza di comunicarla, correvo a prendere chitarra e penna e non mi alzavo dalla sedia finché non avevo trovato il modo migliore di raccontare ciò che spingeva per uscire da me. Una volta trovato, faticavo anche a dormire, perché non riuscivo a staccarmene e tornavo a limare il tutto in maniera ossessiva. Ho smesso di fumare scrivendo questo disco: finivano le cartine, finiva il tabacco e dovevo tornare al mondo, mettermi qualcosa di decente addosso e trascinarmi al tabacchino».

Darà un seguito a questa prima prova discografica?

«Aderisco a moti spontanei, che mi fanno cacciare fuori ciò ho dentro, trasfigurandolo. Non riesco a condividere ciò che ho dentro ora, ciò che scrivo in questo momento, perché ho bisogno di masticarlo, d’ingoiarlo, di metabolizzarlo. C’è un’innocenza profonda quando lasci parlare l’anima e una parte di me tende a proteggerla mentre sta ancora rivelandosi».

Con D’Auria, nel disco suonano il produttore Francesco Di Cristofaro (flauti, fisarmonica, sintetizzatori, programmazioni), Paolo del Vecchio (chitarre, bouzouki, mandolino), Gabriele Tinto (percussioni, drum machine), Carmine Scialla (chitarra battente), Kamer Khan (basso, contrabbasso), Ruben Diaz (tromba), Giuseppe Aversano (chitarra a otto corde).

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