«La scuola come un ripiego? Niente affatto. A 35 anni, quando l’attività di libero professionista non era ancora in crisi, ho capito che avrei voluto seguire le orme di mio padre, maestro alle elementari. Ma il mio primo reclutamento è arrivato quasi vent’anni dopo. Ho fatto supplenze brevi accanto agli studenti disabili, anche se non sono in possesso del titolo di specializzazione. È stata un’esperienza molto bella. E così ho deciso di iscrivermi nelle nuove graduatorie per le supplenze. Mi auguro di essere convocato per una cattedra della mia classe di concorso».
Maurizio De Vivo, 55 anni, di professione commercialista nel suo studio privato, incrocia le dita: fa parte dell’esercito di professionisti che, anche per effetto della crisi, vorrebbe lavorare nelle classi. Racconta: «Faccio teatro amatoriale da dodici anni, al posto della leva ho optato per il servizio civile in un centro per ragazzi con difficoltà psicomotorie, e ho fatto il preparatore atletico per una squadra di rugby. L’impatto con gli studenti disabili, forse per questo, non è stato drammatico.
Inoltre credo che la scuola sia un volano di cultura e promozione sociale. Vorrei dare il mio contributo».
Come comincia la sua avventura nella scuola?
«Il primo concorso risale al 2000: ho conseguito l’abilitazione su diritto e economia e sono risultato idoneo, al 250esimo posto su 1.200 abilitati. Pensavo che l’immissione in ruolo sarebbe arrivata presto».
Invece, cosa è successo?
«Nessun incarico. Ho continuato ad aggiornare la graduatoria fino al 2009. L’anno seguente una funzionaria del Provveditorato mi disse che non sarei mai stato assunto. Mi sono scoraggiato. Se però avessi continuato a insistere, con l’infornata del 2011 probabilmente avrei potuto firmare un contratto a tempo indeterminato senza neppure un giorno di servizio».
Nel frattempo cosa ha fatto?
«Ho continuato lavorare nel mio studio. Nel 2018, in maniera del tutto inaspettata, sono stato però contattato per sostituire per due mesi una professoressa del Perotti. L’anno dopo vengo chiamato dall’altro istituto professionale, il Majorana: per tre mesi insegnante di sostegno senza titolo, ripescato per mancanza di docenti con la specializzazione. Nel 2019 ho deciso di iscrivermi nuovamente nelle graduatorie a esaurimento del Provveditorato e sono stato assegnato al liceo scientifico Salvemini, sempre sul sostegno».
Il suo nome compare nell’albo dei dottori commercialisti di Bari. Cosa vuole fare da grande?
«Vorrei tornare in cattedra. La scuola per me non è assolutamente un ripiego. Anche se non posso nascondere le difficoltà che la mia professione sta attraversando. Il mercato è diventato ibrido, con l’avvento dei Caf che hanno assorbito la fiscalità di base. I Caf possono portare la contabilità e fare elaborazione dati. Il settore è saturo. A noi liberi professionisti rimangono le imprese, i lavoratori autonomi, le consulenze, ma con le procedure digitali è venuto meno il ruolo di intermediazione con gli enti: i clienti possono avere un rapporto diretto con le amministrazioni. Fare il professore significa poter contare su uno stipendio fisso, che arriva ogni mese. È un’occasione per coniugare un sogno con le mutate esigenze di vita».