Certo che la vita è incredibile. Chi mai avrebbe immaginato guardando nei porno un richiestissimo Francesco Malcom, detto «sbarbatello a luci rosse», «l’Alessandro Momo dell’hard», che il suo bel volto dolce, il suo fare educato celavano Francesco Malcolm Trulli nato nel ’71 a Bari, figlio del leader sindacale comunista Peppino Trulli sul quale scrivono saggi.
«Io non ci vedo niente di strano. E non troverebbe anomalo nemmeno lei se fosse stato figlio di mio padre».
Duemila film, i registi d’alta scuola che si dividevano tra pellicole spinte e d’autore, da Mario Salieri ad Alex Perry, da Luca Damiano a Joe d’Amato, produzioni internazionali, unico candido in un mondo di duri.
«Ero il solo in effetti nel porno e ho avuto all’estero imitatori. Questa discrepanza costituiva un ulteriore choc, non se l’aspettava nessuno, ma con i componenti della mia famiglia la mia scelta professionale, pure inusuale, non ha comportato fratture. Sono cresciuto in una realtà casalinga liberale. E papà mi ha instillato giorno dopo giorno con il suo esempio di onestà e rispetto per gli altri, ciò che non rinnego, nonostante i distinguo, però».
E chi non ricorda Peppino Trulli? Dalla segreteria nazionale del Psiup giovanile al Pci, la lotta al caporalato con la Federbraccianti regionale, la segreteria della Cgil Puglia, Filis, chiamato da Bruno Trentin alla direzione Smile. «Peppino Trulli l’idealista pragmatico», come recita un libro dalla copertina rossa.
«Quando scesi da Roma giù a Bari per la cerimonia dell’inaugurazione della Sala Trulli in Regione Puglia mi colpì come sindacalisti, deputati ricordassero con nostalgia le battaglie passate. Io sono per l’azione però, più che per rimpiangere. Resto un uomo di sinistra, nella sinistra sono nato, a cena a casa capitava Massimo D’Alema, Sergio Cofferati pianse ai funerali di mio padre, agosto 2000. Perfino il nome di Francesco Malcolm, che poi in arte divenne Francesco Malcom senza elle perché all’anagrafe sbagliarono, mi fu dato in omaggio a Malcolm X, il leader afroamericano. In vacanza in Grecia eravamo tra amici del giro comunista; che so io, il dirigente Giacomo Princigalli, ordinario a Scienze politiche a Bari, il compianto giornalista Giancarlo Aresta, anima del Pci locale…».

Direttore dell’editrice De Donato, pure lui insegnava in università. Tuttavia stava dicendo che lei non rinnega la sinistra, ma..?
«Eh, dicevo, non abbandono l’ideologia però prendo le distanze. Non bisogna mai essere dogmatici. E nel campo del moralismo i peggiori li ritrovo dalla mia parte politica più che dall’altra. La sinistra ha rinnegato la sua tradizione libertaria, pure sui social le prese di posizione restauratrici vengono da un fronte che non dovrebbe averne. Io sono favorevole alla legalizzazione della prostituzione: loro, in tandem con la Chiesa, fingono che possa venire debellata».
D’altronde, lo stesso porno nacque nel contesto alternativo, crebbe sotto la contestazione a livello industriale.
«Assolutamente sì, anche se lo disconoscono, magari».
Perché l’essenza di sepolcri imbiancati, in tale area di ipocrisia politica, se ci pensa è costituzionale.
«Io so soltanto come la vedeva mio padre».
Proprio di questo volevo parlare.
«Ci trasferimmo da Bari a Roma, dati gli impegni sindacali del mio genitore, quando avevo 17 anni. E già all’uscita del mio primo lungometraggio per adulti, lui seppe che cosa facevo e cosa avrei continuato a fare. Perché vide il mio volto e il mio nome sparati sulla videocassetta di Incontro a Venezia, 1992, in cui recitavo con la divina Simona Valli».
E fu contento.
«No, chiaro che in una famiglia bene era uno scandalo. Ma più che turbato il mio genitore era preoccupato. Immaginava, come allora tutti ignari della realtà, che quello del porno fosse un ambiente pericoloso per un giovane di 21 anni. Sembravo un efebo, fra l’altro. Gli vennero in mente droga, violenza, manager criminali, quando invece non esiste un mondo più schietto e pulito dell’hard-core, anche per gli esami sanitari. Io lo tranquillizzai: papà, è l’esatto contrario di ciò che temi, non c’è alcun rischio, sono felice, svolgo un lavoro che mi piace e guadagno tanto, fra l’altro. E lui assecondò la mia serenità: va bene, allora se è così continua, fai ciò che credi, mi premeva soltanto essere certo che fosse una scelta consapevole e giusta per te».
E sua madre?
«Io ho perduto mamma, Maria Grazia, quando avevo quattro anni. La mia mamma Giovanna, che adesso vive con una sua famiglia, con mia sorella avvocato, ed è tornata a Bari, accettò il figlio pornoattore con tranquillità. Pure mio fratello, che dirige un centro accoglienza romano, non fece storie».
Mi domando come è arrivato dove è arrivato.
«A Bari vivevamo in via Martiri d’Otranto, di fronte ai Salesiani. Frequentavo spesso casa dei nonni in piazza Garibaldi, e degli zii, giusto accanto, Maristella Trulli, lo storico Italo Garzia, ambedue professori dell’Università. Nella scuola Piccinni, in quarta elementare, mi abbassai le mutande e mostrai il pene a tutti quanti».
Ah.
«La maestra mi punì ma per me quello era un gesto giocoso e naturale. Frequentai il liceo scientifico Scacchi, quando un giorno vidi il famoso pornoattore Roberto Malone al Maurizio Costanzo Show. Da lui a 16 anni appresi che quella era una professione di viaggi, ragazze splendide e denaro. Decisi di imitarlo anche se non battevo chiodo e i compagni mi canzonavano. Feci sesso soltanto dopo che mi iscrissi al Cavour di Roma, 17 anni abbondanti. Ma in testa avevo un solo traguardo. Feci un provino con Riccardo Schicchi ma venni scartato. A Firenze studiai restauro d’opere d’arte per entrare all’Opificio delle pietre dure, ma sospesero gli esami. Su incarico di un fotografo, a Montecatini, proposi a una ragazza fantastica: vuoi posare come modella? Lei: non mi interessa, faccio già film hard. Fu l’incontro chiave. Mi indirizzò per un provino a Milano e da allora la vita è cambiata. Data la mia attenzione alla femminilità, registi e manager mi chiamavano anche per il battesimo delle iniziande. Selen ha girato la prima scena di sesso esplicito con me, Eva Henger pure, idem la fotomodella Michelle Ferrari».
E pure con la Pozzi ha avuto a che fare.
«Per Sky ho recitato in un cameo nella serie Moana con Violante Placido. E con la Pozzi ho lavorato anche in Donne in carriera, ultimo film che ha prodotto e girato. Una diva distaccata, le portai il caffè nelle pause, stava immobile, rinchiusa in auto con gli occhiali da sole, di sotto in garage: chiedi al mio manager, mi fece indicando Antonio Di Ciesco, marito segreto, tra l’altro. Ma in quel film Moana in realtà delegava le scene di sesso a una controfigura, il che dice molto sulla sua scissione dal ruolo pubblico professionale. Un anno dopo morì di cancro; non per malattie sessuali».
Francesco Malcom, una carriera all’ombra di un pene telecomandato.
«La testa comanda».
Chissà che cosa le è rimasto, a parte i soldi, i tanti premi erotici, la fama di interpr\ete dalla delicata morbosità.
«Il settore non l’ho abbandonato, anche se non reggo più i tour de force dei vent’anni. Recito anche nel cinema tradizionale, horror, serie tv varie. Nei film a luci rosse accetto una parte se proprio mi piace, o produco io e basta. Ho dato molto su Play Boy Tv, della leggendaria rivista, finché è durata, Canal Plus mi vede ancora impegnato. Per il resto frequento feste, giri romani, vivo da solo qui a casa con il gatto. Si chiama Squalo, anche se è femmina, perché procede per giri concentrici quando vuole essere accarezzata. Mi nutro di rapporti felini costanti più che sessuali».
















